6. Il cinema di genere, tra melodrammi, western e "poliziotteschi"

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Paolo Villaggio in "Fantozzi" (1975) di Luciano Salce

Una vasta parte della produzione cinematografica, quella più commerciale e popolare, è costituita dal cosiddetto cinema "di genere" o "di consumo", solitamente snobbato dalla critica, ma molto apprezzato dal pubblico. Si tratta di un cinema capace di generare lasciti duraturi nell'immaginario collettivo e nel linguaggio comune, e di raggiungere, in alcuni casi, una notevole risonanza anche all'estero.

 

Nel dopoguerra, tra i primi generi di grande popolarità, spicca il melodramma "strappalacrime" di Raffaello Matarazzo, che a partire dallo strepitoso successo di "Catene" (1949) delinea la via italiana al genere, definito anche come "neorealismo popolare" o "neorealismo d'appendice" per l'affinità con il feuilleton ottocentesco. Tra la fine degli anni cinquanta e gli anni sessanta, riscuotono un forte consenso, soprattutto tra i giovani, anche i cosiddetti "musicarelli": film che nascono sull'onda del successo di cantanti come Domenico Modugno, Gianni Morandi, Rita Pavone, Mina e Adriano Celentano.

 

Tra i vari generi nati negli anni sessanta-settanta, due in particolare hanno un considerevole riscontro anche all'estero: il western all'italiana di Sergio Leone e il thriller-horror, di cui Dario Argento è certamente il regista più noto.  

 

Con la "trilogia del dollaro", formata da "Per un pugno di dollari" (1964), "Per qualche dollaro in più" (1965) e "Il buono, il brutto, il cattivo" (1967), Sergio Leone ridefinisce i canoni del western classico e confeziona tre enormi successi di pubblico che segnano la nascita del western all'italiana (il cosiddetto spaghetti-western), caratterizzato tra l'altro dall'accentuazione della violenza, la dilatazione dei tempi (con primi piani insistiti e sequenze che evocano solennità e ritualità) e il sottile taglio dissacratore. Il favore del pubblico, in tutto il mondo, è tale da innescare la proliferazione di un genere che produce, dal 1964 al 1973, oltre quattrocento film che ne riprendono la formula, dando poi vita anche a un filone "politico" (per esempio "Quien sabe?" di Damiano Damiani, 1966) e a quello comico che si impone sull'onda del successo della coppia formata da Bud Spencer e Terence Hill (a partire da "Lo chiamavano Trinità", 1970, di E. Barboni).

 

Il thriller-horror, invece, si afferma in Italia a partire dalla pellicole di Riccardo Freda ("I vampiri", 1956; "L'orribile segreto del dr. Hichcock", 1962) e Mario Bava ("La maschera del demonio", 1960), e trova la sua formula più compiuta nella filmografia di Dario Argento. A partire dal successo internazionale di "L'uccello dalle piume di cristallo" (1970), Argento s'impone con uno stile che coniuga sadismo voyeuristico, colpi di scena improvvisi, spazi claustrofobici, colori saturi e colonne sonore angoscianti, e che trova in "Profondo rosso" (1975) la sua pellicola più rappresentativa.

 

Un genere meno esportato, ma più influente sul linguaggio comune all'interno dei confini nazionali, è quello comico. Negli anni settanta in particolare, tra le commedie sexy (spesso interpretate da Lino Banfi in coppia con Edwige Fenech) e le parodie di Franco e Ciccio, emerge soprattutto la saga del ragionier Fantozzi: un personaggio, creato e interpretato da Paolo Villaggio, che si impone nell'immaginario collettivo, divenendo figura emblematica dell'impiegato goffo, servile e frustrato.

 

Tra gli altri generi che si affermano negli anni settanta, si ricorda infine il poliziesco all'italiana, detto "poliziottesco", rivalutato in anni recenti anche per impulso del regista Quentin Tarantino, che lo ha citato più volte come fonte d'ispirazione.