La condizione umana: la memoria, l'amore, gli oggetti

    Letteratura e teatro

    Per raccontare la condizione umana, unico argomento della sua poesia, Montale sviluppa i temi della memoria (come ricordo del passato e come dolore per chi abbiamo perduto per sempre) e dell’amore (come mezzo di elevazione e come forza vitale). Al poeta non piace spiattellare i suoi sentimenti e per esprimere stati d'animo ed evocare emozioni profonde senza mostrarle in modo troppo diretto utilizza oggetti, cioè gli elementi naturali (il paesaggio, gli animali, le piante) e le cose semplici della vita quotidiana (il muro, la carrucola, il pennello da barba, il tavolo da ping-pong).

     

    Gli oggetti

    Parlare mediante gli oggetti[1] è forse la caratteristica più nota di Montale. Questi oggetti esprimono in modo indiretto l'angoscia del vivere, la solitudine, l'amore: sono i correlativi dei suoi pensieri e delle sue emozioni. Negli Ossi questo rapporto fra i sentimentale del poeta e gli oggetti rappresentati è molto chiara. Gli oggetti sono naturali e compongono nel loro insieme un paesaggio (quello ligure) che diventa metafora della vita: il muro rovente, la casa sul mare, la carrucola cigolante, i limoni profumati, l'upupa.

    E al centro di questo paesaggio, il mare, il Mediterraneo, simbolo potente e antico che tutto raccoglie.

    Nelle Occasioni, invece, gli oggetti (compresi i riferimenti paesaggistici) non si compongono in un'unità di significato, non formano un unico grande simbolo: ogni elemento resta a sé, legato a un momento isolato e preciso (l'occasione, per l'appunto), come nella poesia La speranza di pure rivederti. 

    Nei venti anni successivi il tema prevalente diventerà quello della spazzatura, del pieno di oggetti sconnessi fra loro, che non servono ma che è impossibile eliminare. Un esempio: L'alluvione ha sommerso il pack dei mobili.

     

    La memoria

    Questo tema è centrale soprattutto nella raccolta Le Occasioni: a volte un insieme irripetibile di circostanze esterne – di occasioni – fa scattare il ricordo, la memoria, e riporta, riavvicina persone, luoghi, eventi. Ma è solo un attimo, una breve pausa. Il tempo logora ogni cosa e come una forbice crudele recide e separa da noi i volti delle persone care.

    Il varco che si apre per recuperare quanto non ci appartiene più è destinato a richiudersi e il solco che la memoria scava fra i momenti felici del passato e la solitudine del presente può solo approfondirsi, come nella Casa dei doganieri.

     

    L'amore

    Nelle raccolte Occasioni e La Bufera e altro ci sono due figure femminili importanti per le quali Montale utilizza i nomi fittizi (i senhal) di Clizia e di Volpe. Nella mitologia, Clizia è una ninfa innamorata di Apollo e trasformata in girasole, il fiore che insegue sempre la luce del Sole; la sua storia è narrata nel IV libro delle Metamorfosi di Ovidio. Nella realtà, la Clizia di Montale viene identificata con Irma Brandeis, studiosa americana di Dante che il poeta conobbe a Firenze e che tornò poi negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali emanate durante il fascismo. Irma-Clizia è una donna-angelo, una meravigliosa creatura capace di dare pace al poeta e di fargli sperare in una possibile salvezza anche in mezzo ai dolori della guerra e della vita. A lei è dedicata la poesia La bufera che dà il titolo alla raccolta La Bufera e altro.

     

    Sotto il senhal di Volpe si nasconde probabilmente la poetessa Maria Luisa Spaziani, che Montale conobbe nel 1949. Questa donna rappresenta un altro aspetto del femminile, incarna la realtà terrena, l'eros: è una creatura provocante e sensuale, un carnivoro biondo che si muove con una falcata/prodigiosa, simile a una bellissima volpe.

     

    Nella raccolta La bufera e altro, compare anche un'altra figura femminile: la moglie di Montale, Drusilla Tanzi (detta Mosca per la sua miopia), compagna di tutta una vita e morta un anno dopo le nozze. A Mosca sono dedicate le poesie della sezione di Satura intitolata Xenia: fra le più note, Ho sceso dandoti il braccio:

     

    Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

    e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

    Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

    Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

    le coincidenze, le prenotazioni,

    le trappole, gli scorni di chi crede

    che la realtà sia quella che si vede.

    Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

    non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.

    Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

    le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

    erano le tue.

     

    Clizia, Volpe e Mosca sono tutte assenti – morte o viventi altrove – forse perché la donna di Montale è umana ma anche divina e non può confondersi con il quotidiano, con il contingente, con ciò che è destinato a finire.



    [1]Tratto con adattamenti da: L'oggettivismo di Montale: un modo di organizzare le cose, le parole, in Remo Ceserani -Lidia De Federicis, Il Materiale e l'Immaginario, VIII, tomo secondo, Torino, Loescher, 1983

     

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