9.3. Gli equilibri della moda

Moda e design
Giovanni Boldini, "La marchesa Luisa Casati", 1908

Evocando lo stile Liberty sorge un’immagine di donna flessuosa e conturbante nelle fluide vesti, che si “avvita” sul vitino di vespa a disegnare la celebre “linea a S” con la mimica di un serpente incantato: dal breve strascico fino alla fiera testa dritta sul collo fasciato, a incoronarsi nel grande cappello piumato. Donne sensuali e sfuggenti come le dinamiche pennellate di Boldini, loro sommo interprete; donne dai nomi indelebili nella memoria collettiva: Lina Cavalieri, Marguerite Rejan, Loïe Fuller, Bella Otero, Sarah Bernhardt, donna Francesca Florio, marchesa Casati … Dame dell’aristocrazia e dive dello spettacolo sono i simboli di seduzione e di eleganza Belle Epoque, fra matinées e soirées, all’ippodromo o a teatro, seguite da signori compiacenti nei relativi tight e frac o smoking (unica “novità” nell’armadio maschile).

 

Seguendo la forte marca simbolista dell’epoca, si può evocare in quell’avvitamento l’elica dei nuovi motori che domavano le leggi della statica: l’automobile, l’aereo, fino alla pellicola del neonato cinema, che si srotolava davanti a platee cittadine sempre più ampie e popolari… Tutto accelerava e si disarticolava, come ben intuivano gli artisti più acuti: così gli occhi, languidi o alteri dei ritratti “conformi” delle dame, ora fissano immoti dai volti sgangherati delle “Demoiselle” di Picasso, con la crudezza di un rito voodoo: è il 1907, la linea a “S” è divenuta una “Z” che perfora l’opprimente busto: e Poiret ne afferra subito il concetto proponendo una linea che ricorda lo stile impero, un modo di vestire più semplice e pratico, con la vita alta e la gonna stretta e lunga, con quel tanto di orientalismo che alla fine conquista il gusto delle donne, surclassando definitivamente le Maisons Worth e Doucet, suoi passati maestri.

 

Il bon ton ovviamente comportava una veste per ogni occasione, adeguata al ruolo mondano da interpretare: abiti da casa, da passeggio, da carrozza, da visita, da ballo, da lutto, da mezzo lutto e, in grande auge, abiti da viaggio e per lo sport. È chiaro che a stabilire le regole era sempre il bel mondo à la mode, di elevata appartenenza sociale; regole poi diffuse alle donne della media borghesia attraverso le proliferanti riviste femminili (e non) “calmierate” dagli eccessi, rivedute e corrette verso la stabilizzazione di un tipo di donna più “addomesticata”, ma più realistica, quella che decreterà il trionfo del tailleur.

Al di là di tutte le avanguardie (tali anche le “suffragette”), erano presenti sul territorio una quantità di iniziative e personaggi, molte delle quali donne appunto, che operavano al dissodamento e alla semina di un nuovo parterre di operatori e acquirenti preparati, consapevoli delle istanze della modernità, in costante equilibrio fra tradizione artistico-artigianale e diffusione industriale, che costruiranno le solide basi di una rinascita nazionale, fuori dal clamore mondano, che porterà qualche decennio e qualche “guerra” dopo, al “miracolo” del Made in Italy. Professionisti impegnati nella didattica, nel giornalismo di settore, nell’associazionismo, come Rosa Genoni, Rosa Menni Giolli e tutti quei professionisti impegnati nelle scuole per l’apprendimento delle “arti applicate”: a Milano, Torino, Firenze, Venezia, Napoli, Monza … alcune già attive da decenni, altre in formazione.

 

È in questa tornata di anni che si formano i nuclei di molte future aziende leader del settore: ora di impianto più artistico- artigianale, da Maria Monaci Gallenga a Vittorio Zecchin, o dalla vocazione più industriale come Luigi Bianchi che nel 1907 costituì il nucleo originario dell’attuale Lubiam, o imprenditori come Senatore Borletti, i Marzotto, Ermenegildo Zegna, Nazareno Gabrielli nella lavorazione del cuoio, firma tra le più prestigiose nell’industrial design applicato alla moda e, prima ancora, Giuseppe Borsalino (dal 1834), che portò la sua collaudata fabbrica di cappelli ad essere, al volgere del secolo, all’avanguardia industriale e nella politica assistenziale. Molti furono anche gli enti promotori e i comitati: fra i più importanti quello lombardo per “Una moda di pura arte italiana” (1909), o le iniziative nell’ambito dell’Esposizione Universale di Torino del 1911, con la realizzazione del Palazzo della Moda. Gli intenti erano chiari: “D’ora innanzi non sarà più una necessità spostarsi dal nostro centro solito di lavoro o di affari, né intavolare lunghe noiose corrispondenze con le case estere per vestire con solida eleganza” (La Donna, 1911. Periodico. Numero speciale per l’Esposizione torinese).