5. Il dialetto cantato

Arti
Pino Daniele, 2009. Foto di Iaconianni. Fonte: Wikimedia Commons

Nel 1984, uno dei nostri cantautori più colti, Fabrizio De André, già ricco di esperienze di matrice letteraria e d’Oltralpe, ritorna al proprio dialetto nativo (ma trasfigurato in direzione decisamente antifolclorica e “mediterranea”) con il concept album (impensabile senza la complicità musicale di Mauro Pagani) Creuza de ma che segna l’inizio di un recupero del dialetto nella canzone con connotati molto simili a quella della poesia cosiddetta “neodialettale”. È l’inizio di un filone (teso tra l’altro ad affrancare le parole per musica dalla dittatura della “mascherina”: monosillabi e troncamenti in fine di rima sono estranei ad alcuni dialetti) che si biforca presto in un ramo attento all’uso del dialetto come soluzione formale inattesa o inaudita, in qualche caso rinverdendo una lunga tradizione come quella napoletana (Pino Daniele, Teresa De Sio), e in un altro in cui la scelta linguistica ha connotati più decisamente ideologici, oppositivi e polemici (il dialetto delle posse, - Mau Mau, Almamegretta, 99 posseSud Sound System, Pitura Freska e molti altri - che rivestono di fonemi locali ritmi reggae e hip-hop nati Oltreoceano).