Tra gli anni cinquanta e sessanta si afferma la commedia all'italiana, genere che fonde elementi comici e drammatici, trattando temi di interesse sociale e politico con tono ironico, intento satirico e gusto per il grottesco. A differenza di altri tipi di commedia, si tratta di un filone capace di mettere a nudo le contraddizioni del nostro paese e dei suoi cittadini, ponendosi in vari casi a un livello intermedio tra il cinema di genere e quello d'autore, grazie all'opera di registi come Mario Monicelli e Dino Risi, e di sceneggiatori come Age e Scarpelli, Ettore Scola, Sergio Amidei, Vitaliano Brancati, Ruggero Maccari, Rodolfo Sonego, non di rado provenienti dall'esperienza neorealista.
Non a caso, tra i primi filoni che nel dopoguerra aprono alla commistione tra realismo e commedia, rientra il cosiddetto "neorealismo rosa" di film come "Due soldi di speranza" (1951) di Renato Castellani, "Le ragazze di Piazza di Spagna" (1952) di Luciano Emmer, "Pane amore e fantasia" (1953) di Luigi Comencini e "Poveri ma belli" (1956) di Dino Risi: enormi successi di pubblico (soprattutto gli ultimi due) che offrivano anche un quadro, divertente ed efficace, della realtà italiana negli anni della ricostruzione.
D'altra parte, come avrebbe poi sostenuto Marco Ferreri, "la commedia è il neorealismo riveduto e corretto per mandare al cinema la gente", e nell'Italia del dopoguerra si affermano soprattutto quei film che rispecchiano la realtà sociale e politica, utilizzando un linguaggio popolare (i dialetti o più spesso gli italiani regionali), nella cornice di un intrattenimento leggero e d'evasione; ne sono esempi i film con Aldo Fabrizi, Totò e Peppino De Filippo, la serie di Don Camillo e Peppone, tratta dai racconti di Giovanni Guareschi e interpretati da Fernandel e Gino Cervi, e i film di Luigi Zampa ("L'onorevole Angelina", 1947; "Anni difficili", 1948, "Anni facili", 1953; "L'arte di arrangiarsi", 1954).
La commedia all'italiana, che nasce sulle basi di tale retroterra, si afferma in maniera più compiuta dalla fine degli anni cinquanta, quando si sviluppa una prospettiva cinica e disincantata sulle trasformazioni sociali in atto (industrializzazione, urbanizzazione, nascita del consumismo, evoluzione del costume nazionale ecc.). Il film capostipite del genere è generalmente ritenuto "I soliti ignoti" (1958) di Monicelli, mentre tra le altre pellicole più rappresentative rientrano "Il sorpasso" (1962) di Dino Risi e "Divorzio all'italiana" (1961) di Pietro Germi, pellicola quest'ultima da cui il genere trae il nome.
Grazie anche alle memorabili interpretazioni di alcuni tra i maggiori attori italiani, come Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi e Monica Vitti, la commedia all'italiana mise alla berlina i vizi nazionali (corruzione dilagante, lentezza della burocrazia, opportunismo, teledipendenza ecc.), attirando l'attenzione del grande pubblico su temi di interesse sociale. Dal passato alla contemporaneità , il campo di azione della commedia all'italiana fu vastissimo: rivisitò con acume e spirito anti-retorico la storia nazionale ("La Grande Guerra" di Monicelli, 1959; "Tutti a casa" di Vittorio De Sica, 1960; "Il federale" di Luciano Salce, 1961; "L'armata Brancaleone" di Monicelli, 1966), sottolineò le contraddizioni del miracolo economico ("I mostri" di Risi e "Il boom" di De Sica, entrambi del 1963), denunciò la malasanità ("Il medico della mutua" di Zampa, 1968) e inneggiò all'emancipazione femminile ("La ragazza con la pistola" di Monicelli, 1968).
Tra la seconda metà degli anni settanta e gli inizi degli anni ottanta, complici il mutato clima politico-sociale e l'esaurirsi della vena creativa dei suoi artefici, la stagione d'oro della commedia all'italiana poteva considerarsi terminata. Una simbolica conclusione testamentaria del genere può essere rintracciata in "Amici miei" (1975) di Monicelli, che della commedia all'italiana mantiene il cinismo e il gusto per la burla, descrivendo però con una durezza inedita una società insoddisfatta e priva di prospettive.