I fatti hanno dato piena ragione a Tabarrini e Ascoli. I cambiamenti nell'uso della lingua sono andati di pari passo con le trasformazioni sociali e culturali della comunità degli abitanti. Con l’obbligo scolastico cominciò a fare progressi, anche se lenti, l'istruzione dei ceti popolari. Nelle classi borghesi si diffuse la lettura dei giornali nazionali, specchio della nuova e travagliata vita politica. Una nuova sensibilità sociale e un diverso gusto estetico favorirono la nascita di una nuova letteratura (Pascoli, D'Annunzio, Verga) aperta ai temi della realtà contemporanea. L'italiano da allora fu sempre più usato per trattare anche argomenti concreti, sia nelle scritture, sia nella comunicazione parlata quotidiana.
Altri eventi avrebbero successivamente rafforzato e accelerato queste tendenze: le lotte delle classi non abbienti, le massicce migrazioni transoceaniche, le drammatiche esperienze della mobilitazione nazionale nella Grande Guerra. Una spinta decisiva all'avvicinamento della lingua al parlato è venuta dai mezzi di trasmissione della voce: il telefono, i dischi, la radio (prime trasmissioni di Stato nel 1924), il cinema sonoro (1927 negli Stati Uniti, 1930 in Italia); più tardi la televisione (1954).
Nel secondo dopoguerra, sono state ancora le grandi migrazioni interne ad accelerare l'italianizzazione delle masse popolari, le cui nuove generazioni hanno avuto via via accesso anche all'istruzione superiore. L'italiano ha in definitiva mantenuto il suo ancoraggio alla tradizione scritta, ma è riuscito anche ad assorbire utilmente forme del parlato, soprattutto accettando molti tratti di antica data che erano stati a lungo censurati dalla norma astrattamente grammaticale.
Considerando gli usi odierni dell'italiano nel loro insieme, si può dire che accanto alla norma più selettiva, vigente nella pratica scritta più formale, si collochi ormai, in altri settori della scrittura (dal giornalismo alla saggistica leggera alla letteratura) e nel parlato comune (diretto e trasmesso), un "italiano dell'uso medio" che fa da baricentro a tutto il repertorio di varietà della nostra lingua. Proprio perché divenuto più flessibile, l'italiano è ormai parlato, sia pure con variazioni geografiche e sociali, dalla quasi totalità della popolazione d'Italia ed è effettivamente lingua "nativa" (cioè acquisita come vera lingua prima nella famiglia in cui si nasce) di oltre la metà degli Italiani. Una condizione che avvia il Paese a quella "normalità " linguistica che ci era a lungo mancata: ancora nel 1821 l'Italia "una di lingua" era un semplice auspicio manzoniano.