Il sonetto "A Zacinto"

Letteratura e teatro

Foscolo dedica questo sonetto alla sua patria, l’isola di Zacinto, venerata da lui come una madre (Zacinto mia), prediletta da Venere, dea dell’amore, che ha voluto nascere dalle sue acque (sacre sponde) e ricordata da Omero nel famoso poema (inclito verso)in cui canta l’avventuroso viaggio di Ulisse, costretto dagli dei a percorrere per anni le vie del mare (acque fatali).

 

Zacinto è una terra meravigliosa (isole feconde, limpide nubi) che il poeta non rivedrà mai più: la negazione (né più mai) che dà inizio alla poesia sancisce drammaticamente questa impossibilità. Zacinto è il simbolo della vita errabonda di Foscolo, del suo destino di esule. Ulisse, dopo molte sventure, torna nella sua Itaca coperto di gloria (bello di fama e di sventura); ben diverso è la sorte (fato) riservata al poeta:  condannato a rimanere per sempre lontano dalla patria (materna mia terra), potrà donarle solo il suo canto perché il corpo sarà sepolto in terra straniera lontano dalle persone care che non potranno piangere sulla sua tomba (illacrimata sepoltura).

 

Come nel sonetto In morte del fratello Giovanni, Foscolo fa riferimento a temi e personaggi dell’antichità classica per parlare di sé e del suo destino, spesso opposto a quello degli eroi cantati dagli antichi poeti.

 

Nè più mai toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
Del greco mar, da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
L’inclito verso di
Colui che l’acque

Cantò fatali, ed il diverso esiglio
Per cui bello di fama e di sventura

 Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse?

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra; a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.

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