Le Poesie vengono pubblicate per la prima volta a Pisa nel 1802 sul Nuovo Giornale dei Letteratie comprendono otto sonetti e l’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo. La maggior parte dei sonetti è ispirata dall’amore contrastato per Isabella Roncioni, (Non son chi fui, perì di noi gran parte, Perché taccia, Così gl'interi giorni, Meritamente, E tu ne' carmi avrai perenne vita, Che stai?; Solcata ho fronte è un autoritratto scritto prendendo a modello quello di Vittorio Alfieri[1]; Te nudrice alle Muse) è una presa di posizione polemica contro la soppressione dell’insegnamento del latino.
Nell’aprile del 1803 esce a Milano, per Destefanis, l’edizione definitiva in cui Foscolo ha aggiunto altri tre sonetti (Alla sera, A Zacinto, Alla Musa e l’ode All'amica risanata; nell’autunno dello stesso anno, nell’edizione Nobile, sempre a Milano, compare un ultimo sonetto In morte del fratello Giovanni. La scelta di pubblicare una raccolta composta da un numerò così limitato di testi è innovativa e si contrappone alla produzione poetica abbondante, facile e disimpegnata che aveva dominato nel Settecento. Anche gli argomenti trattati si distaccano dalla moda corrente: i sonetti costituiscono nel loro insieme un’autobiografia a caratteri drammatici in cui Foscolo, perduto l’amore e visti cadere gli ideali politici, decide di rinunciare alla poesia per darsi agli studi eruditi, alle fatiche dotte).
L’ode All'amica risanata, dedicata a Antonietta Fagnani Arese, un’altra donna amata da Foscolo, è considerata dalla critica nettamente superiore a quella composta in onore della nobildonna genovese Luigia Pallavicini, famosa per la sua bellezza, che si era ferita il volto cadendo da cavallo.
[1] Sublime specchio di veraci detti,/mostrami in corpo e in anima qual sono:/capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;/lunga statura, e capo a terra prono;/sottil persona in su due stinchi schietti;/bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;/giusto naso, bel labro, e denti eletti;/pallido in volto, più che un re sul trono:/or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;/irato sempre, e non maligno mai;/la mente e il cor meco in perpetua lite:/per lo più mesto, e talor lieto assai,/or stimandomi Achille, ed or Tersite:/om, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai.