Foscolo dedica questo sonetto al fratello Giovanni Dionigi, morto suicida a Venezia l’8 dicembre 1801. Giovanni, più giovane di tre anni ma con lo stesso temperamento impetuoso e passionale di Ugo, si era arruolato come lui nell’esercito cisalpino e aveva combattuto a Marengo; il suicidio fu probabilmente causato dall’accusa di aver sottratto denaro dalla cassa di guerra per pagare debiti di gioco. In una lettera indirizzata al poeta e amico Vincenzo Monti subito dopo il tragico evento, Foscolo scrive:
Sono pur assai giorni, mio dolce amico, ch'io non ti vedo, e che non so nulla della tua Costanza. Ma io sono inchiodato nel letto dalla mia malattia divenuta strana e fierissima. E la mia anima è ancora più inferma. La morte dell'infelicissimo mio fratello ha esulcerato tutte le mie piaghe: tanto più ch'ei morì di una malinconia lenta, ostinata, che non lo lasciò né mangiare né parlare per quarantasei giorni. Io mi figuro i martìri di quel giovinetto, e lo stato doloroso della nostra povera madre fra le di cui braccia spirò. Ma io temo che egli stanco della vita siesi avvelenato, e mia sorella mi conferma in quest'opinione. La morte sola finalmente poté decidere la battaglia che le sue grandi virtù, e i suoi grandi vizj mantennero da gran tempo in quel cuore di fuoco — Addio.
Il tuo ecc.
In morte del fratello Giovanni
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente; mi vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de’ tuoi gentili anni caduto:
La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge i miei tetti saluto,
Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta;
E prego anch’io nel tuo porto quiete:
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.
Anche questo sonetto ha come riferimento la classicità . Il sonetto riprende il Carme CI scritto dal poeta latino Catullo in memoria del fratello perduto:
Multas per gentes et multa per aequoravectus/adveniohasmiseras, frater, ad inferias,/ Quandoquidem fortuna mihiteteabstulitipsum./Heumiserindignefraterademptemihi,/ |
L’espressione che il poeta usa per descrivere la giovane vita di Giovanni spezzata dalla morte (fior de’tuoi gentili anni caduto) è ripresa dal canto IX dell’Eneide quando Virgilio canta la morte del giovane guerriero Eurialo (435-6): purpureus ueluti cum flos succisus aratro /languescit moriens, lassoue papauera collo/demisere caput pluuia cum forte grauantur
Anche in questo sonetto, come in A Zacinto, Foscolo utilizza le immagini solenni, pacate e delicate dei poeti della classicità per descrivere l’inquietudine e l’incertezza che lo tormentano: a differenza di Catullo, il poeta, costretto all’esilio (sempre fuggendo/di gente in gente) non può trovare pace visitando la tomba del fratello, e Giovanni, a differenza dell’eroe di Virgilio, non muore combattendo valorosamente ma si toglie la vita, sopraffatto da una lenta malinconia.