Il sonetto "Alla sera"

Letteratura e teatro

Alla sera è forse il sonetto più celebre di Foscolo. Il poeta lo scrive nel 1803 ma lo colloca al primo posto nell’edizione definitiva del suo canzoniere. Il tema trattato – la sera come espressione del desiderio di pace e di riposo dagli affanni della vita - era già presente in molti sonetti del Cinquecento, come in quello di Giovanni Della Casa[1], di cui riportiamo la prima quartina:

 

O sonno, o de la queta, umida, ombrosa

notte placido figlio; o de’mortali

egri composto, delirio dolce de’mali

sì gravi ond’è la vita aspra e noiosa;

 

 Foscolo, però, apporta alla tradizione contributi nuovi, che risentono dell’influsso di Lucrezio, il grande poeta- filosofo dell’antichità classica: la sera assomiglia (sei l’imago) alla morte perché quando la vita finisce ad attendere l’uomo c’è solo un sonno senza fine, il nulla eterno, dove l’animo tormentato (spirto guerrier) può trovare finalmente pace (dorme).

 

Forse perché della fatal quïete
Tu sei l’immago a me sì cara, vieni,
O Sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,

E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre, e lunghe, all’universo meni,
Sempre scendi invocata, e le secrete

Vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme

Delle cure, onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme

Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

 

La sofferta ricerca di pace e di equilibrio espressa sul piano tematico trova rispondenza nella forma e nel lessico. La morte è quïete ma questa quiete è un destino inesorabile a cui nessuno può sottrarsi (fatal); alle parole quïetee liete con cui terminano il primo e il secondo verso della prima quartina dove si descrive una sera estiva, corrispondono nella secondainquïete e secrete (nascoste) e compare l’immagine cupa del calar delle tenebre durante l’inverno (nevoso aere). Nelle due terzine dove il poeta parla di sé, la parola dorme, stretta fra strugge e rugge, sembra esprimere la difficoltà a placare le passione; gli enjambement(fatalquïete/ tu, vieni/o Sera, liete/le nubi, inquïete /tenebre, secrete/vie, l’orme/che vanno, fugge/questo reo, torme/delle cure, dorme/quello spirto) presenti in gran numero nell’intero sonetto, sottolineano i contrasti e il tormento di un animo inquieto.



[1] Monsignor Giovanni Della Casa (1503-1556), arcivescovo e letterato, è noto soprattutto per essere l’autore del manuale di belle maniere Galateo overo de' costumi.

Giovanni Della Casa, Le Rime, a cura di Roberto Fedi, I, Salerno, Roma, 1978

 

Materiali collegati
Autori: 

Chiavi di VIVIT: