L'ode "All'amica risanata"

Letteratura e teatro

L’ode Ã¨ dedicata ad Antonietta Fagnani, nobildonna milanese moglie del conte Marco Arese Lucini. Antonietta, che conosceva molto bene il francese, l’inglese e il tedesco, aiutò Foscolo nella revisione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis; nel 1801 fu anche l’amante del poeta ma la loro relazione era già conclusa quanto,nella primavera del 1802, venne scritta l’Ode. Foscolo compone All'amica risanata per celebrare la guarigione della contessa dopo una lunga malattia. L’Ode è articolata in 16 strofe di cinque versi di sette sillabe (settenari) e da un verso finale di undici sillabe (endecasillabo).

 

Per il contenuto può essere suddivisa in due parti principali, nella prima (vv.1-48) Foscolo descrive l’amica che, dopo la malattia si alza dal letto (egro talamo) e torna a rifiorire (beltà rivive; fiorir sul caro viso/veggo la rosa). I grandi occhi di Antonietta hanno ritrovato il sorriso e tendono insidie al cuore di chi li guarda (insidiando), provocando tormento nelle altre donne, timorose che il loro figli (trepide madri) o i loro uomini (sospettose amanti) possano di nuovo cedere al loro fascino. L’amica è bella e luminosa (aurea beltade) come il pianeta Venere (l’astro più caro a Venere) quando appare al mattino; e la bellezza, sottolinea il poeta, è l’unico conforto all’infelicità degli esseri umani (ristoro unico a’mali), destinati a inseguire speranze che andranno sempre deluse (nate a vaneggiar menti mortali). Foscolo paragona l’amica a una divinità (te, Dea) e descrive le piacevoli occupazioni che ora riempiono la sua giornata. Mentre durante la malattia le Ore del giorno tristemente le somministravano farmaci (meste/ministre eran de’ farmaci), ora le porgono vesti di seta proveniente dall’India (indica veste), gioielli fabbricati da artisti greci (inclito studio di scalpelli achei) con incise immagini degli Dei, stivaletti (candidi coturni) e ornamenti: perciò, quando si reca alle feste (cori) notturne ballo, i giovani dimenticano di ballare (obliano) per ammirarla e, presi dall’amore, iniziano a tormentarsi (principio d’affanni e di speranze). Lo stesso accade quando esegue nuovi brani musicali (novelli numeri) con l’arpa e canta avvolta in una morbida stoffa (facile bisso)che disegna il suo corpo flessuoso (molli contorni); oppure quando balla (balli disegni) affidando il corpo agile all’aria e lasciando che la veste (manti) e il velo, abbandonato a se stesso nell’impeto della danza, facciano intravedere bellezze fino ad allora mai mostrate (ignoti vezzi).

 

Qual dagli antri marini
L’astro più caro a Venere
Co’ rugiadosi crini
Fra le fuggenti tenebre
Appare, e il suo vïaggio
Orna col lume dell’eterno raggio.

Sorgon così tue dive
Membra dall’egro talamo,
E in te beltà rivive,
L’aurea beltateond’ebbero
Ristoro unico a’ mali
Le nate a vaneggiar menti mortali.

Fiorir sul caro viso
Veggo la rosa; tornano
I grandi occhi al sorriso
Insidïando; e vegliano
Per te in novelli pianti
Trepide madri, e sospettose amanti.

Le Ore che dianzi meste
Ministre eran de’ farmachi,
Oggi l’indica veste,
E i monili cui gemmano
Effigïati Dei
Inclito studio di scalpelli achei.

E i candidi coturni
E gli amuleti recano
Onde a’ cori notturni
Te, Dea, mirando obbliano
I garzoni le danze,
Te principio d’affanni e di speranze.

O quando l’arpa adorni
E co’ novelli numeri
E co’ molli contorni
Delle forme che facile
35 Bisso seconda, e intanto
Fra il basso sospirar vola il tuo canto.

Più periglioso; o quando
Balli disegni, e l’agile
Corpo all’aure fidando,
 Ignoti vezzi sfuggono
Dai manti, e dal negletto
Velo scomposto sul sommosso petto.

All’agitarti, lente
Cascan le trecce, nitide
 Per ambrosia recente,
Mal fide all’aureo pettine
E alla rosea ghirlanda
Che or con l’alma salute April ti manda.

Così ancelle d’Amore
A te d’intorno volano
Invidiate l’Ore;
Meste le Grazie mirino
Chi la beltà fugace
Ti membra, e il giorno dell’eterna pace.

Mortale guidatrice
D’oceanine vergini,
La Parrasia pendice
Tenea la casta Artemide,
E featerror di cervi
Lungi fischiar d’arco cidonio i nervi.

Lei predicò la fama
Olimpia prole; pavido
Diva il mondo la chiama,
E le sacrò l’Elisio
Soglio, ed il certo têlo,
E i monti, e il carro della luna in cielo.

Are così a Bellona,
Un tempo invitta amazzone,
Die’ il vocale Elicona;
Ella il cimiero e l’egida
Or contro l’Anglia avara
E le cavalle ed il furor prepara.

E quella a cui di sacro
Mirto te veggo cingere
75 Devota il simolacro,
Che presiede marmoreo
Agli arcani tuoi lari
Ove a me sol sacerdotessa appari,

Regina fu; Citera
E Cipro ove perpetua
Odora primavera
Regnò beata, e l’isole
Che col selvoso dorso
Rompono agli euri e al grande Ionio il corso.

Ebbi in quel mar la culla,
Ivi era ignudo spirito

Di Faon la fanciulla,
E se il notturno zeffiro
Blando su i flutti spira,
Suonano i liti un lamentar di lira.

Ond’io, pien del nativo
Aër sacro, su l’itala
Grave cetra derivo
Per te le corde eolie,
E avrai, divina, i voti
Fra gl’inni miei delle insubri nipoti.

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