Angelo Poliziano e Sandro Botticelli

Letteratura e teatro
S. Botticelli, Primavera, 1482 circa, Uffizi, Firenze. Fonte: Wikimedia Commons

Esistono affinità fra lo stile di Poliziano e la pittura di artisti suoi contemporanei, in particolare, di Botticelli, come sottolinea Asor Rosa[1]. L’interesse di entrambi è rivolto soprattutto alla natura, al paesaggio, ai boschi, agli animali, che vengono descritti nei minuti particolari mentre il carattere e i sentimenti dei personaggi sono solo accennati; le figure del mito (ninfe, dee, eroi) sono molto frequenti e hanno spesso significato allegorico. Prendiamo come esempio il dipinto di Botticelli La Primavera e il primo libro delle Stanze di Poliziano, dove viene descritto il regno di Venere.

 

Il dipinto La Primavera va letto a partire da destra. La scena è ambientata in uno splendido boschetto di arance, con un prato verde in cui spuntano papaveri, viole, gelsomini, fiordalisi, iris. Zefiro, il vento della primavera, soffia sugli alberi e abbraccia Cloris, la dea dei fiori, sua terza moglie: da loro nasce Flora, la primavera, con uno splendido abito fiorito, che sparge al suolo le gemme strette in grembo. Al centro sta la dea Venere, simbolo dell’amore, che controlla e dirige le azioni dei vari personaggi; sopra il suo capo vola il figlio Cupido; le Grazie, che sempre accompagnano Cupido, intrecciano una danza mentre Mercurio scaccia le nubi per mantenere il cielo sempre sereno. È una rappresentazione idealizzata della natura, espressa attraverso il mito, la stessa che troviamo nell’episodio centrale delle Stanze di Poliziano, dove viene descritto il regno di Venere, a cui Cupido fa ritorno dopo aver fatto innamorare il giovane cacciatore Iulo (Giuliano de’ Medici) della ninfa Simonetta (Simonetta Cattaneo, la donna amata da Giuliano):

 

Né mai le chiome del giardino eterno
tenera brina o fresca neve imbianca;
ivi non osa entrar ghiacciato verno,
non vento o l’erbe o li arbuscelli stanca;
ivi non volgon gli anni il lor quaderno,
ma lieta Primavera mai non manca,
ch’e suoi crin biondi e crespi all’aura spiega,
e mille fiori in ghirlandetta lega. (72)

Con tal milizia e tuoi figli accompagna
Venere bella, madre delli Amori.
Zefiro il prato di rugiada bagna,
spargendolo di mille vaghi odori:
ovunque vola, veste la campagna
di rose, gigli, violette e fiori;
l’erba di sue belleze ha maraviglia:
bianca, cilestra, pallida e vermiglia.(77)


Mai rivestì di tante gemme l’erba
la novella stagion che ’l mondo aviva.
Sovresso il verde colle alza superba
l’ombrosa chioma u’ el sol mai non arriva;
e sotto vel di spessi rami serba
fresca e gelata una fontana viva,
con sì pura, tranquilla e chiara vena,
che gli occhi non offesi al fondo mena. (80)

 

Come nei dipinti di Botticelli, i personaggi che popolano il giardino di Venere non hanno connotazioni psicologiche particolari o caratteristiche distintive, sono figure allegoriche tratteggiate solo attraverso aggettivi:

 

[…] Dolce Paura e timido Diletto,
dolce Ire e dolce Pace insieme vanno;
le Lacrime si lavon tutto il petto
e ’l fiumicello amaro crescer fanno;
Pallore smorto e paventoso Affetto
con Magreza si duole e con Affanno;
vigil Sospetto ogni sentiero spia,
Letizia balla in mezo della via
.(74)

 

La natura è invece descritta con grande attenzione, in ogni suo aspetto:

i corsi d’acqua

 

[…] L’acqua da viva pomice zampilla,
che con suo arco il bel monte sospende;
e, per fiorito solco indi tranquilla
pingendo ogni sua orma, al fonte scende:
dalle cui labra un grato umor distilla,
che ’l premio di lor ombre alli arbor rende;
ciascun si pasce a mensa non avara,
e par che l’un dell’altro cresca a gara
.(81)

 

gli alberi

 

[…]  Surge robusto el cerro, et alto el faggio,
nodoso el cornio, e ’l salcio umido e lento;
l’olmo fronzuto, e ’l frassin pur selvaggio;
el pino alletta con suoi fischi il vento.
L’avorniol tesse ghirlandette al maggio,
ma l’acer d’un color non è contento;
la lenta palma serba pregio a’ forti,
l’ellera va carpon co’ piè distorti.
(83)

 

gli animali che abitano la terra

 

[…] E mughianti giovenchi a piè del colle

fan vie più cruda e dispietata guerra,

col collo e il petto insanguinato e molle,
spargendo al ciel co’ piè l’erbosa terra.
Pien di sanguigna schiuma el cinghial bolle,
le larghe zanne arruota e il grifo serra,
e rugghia e raspa e, per più armar sue forze,
frega il calloso cuoio a dure scorze
.(86)

 

i pesci che vivono nelle acque

 

[…] E muti pesci in frotta van notando
dentro al vivente e tenero cristallo,
e spesso intorno al fonte roteando
guidon felice e dilettoso ballo;
tal volta sovra l’acqua, un po’ guizzando,
mentre l’un l’altro segue, escono a gallo:
ogni loro atto sembra festa e gioco,
né spengon le fredde acque il dolce foco
.(89)

gli uccelli del cielo

 

[…] Li augelletti dipinti intra le foglie
fanno l’aere addolcir con nuove rime,
e fra più voci un’armonia s’accoglie
di sì beate note e sì sublime,
che mente involta in queste umane spoglie
non potria sormontare alle sue cime;
e dove Amor gli scorge pel boschetto,
salton di ramo in ramo a lor diletto
.(90)

 

 


[1] Alberto Asor Rosa (Roma, 23 settembre 1933), docente di letteratura italiana presso l’Università La Sapienza di Roma, è critico letterario e scrittore.

 

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