6. Sviluppi recenti

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Lorenzo "Jovanotti" Cherubini. Foto di Olga e Zanni. Fonte: Flickr

Infine, negli anni Novanta il gruppo di Elio e le Storie Tese riprende la lezione del “rock demenziale” nato a Bologna attorno al Settantasette con testi di un umorismo surreale che scaturisce dal cortocircuito di materiali linguistici disparati, riciclati dalla cronaca e dalla stessa tradizione canzonettistica, come in La terra dei cachi (ritratto grottesco ma amaramente veritiero del nostro Paese), canzone presentata con sberleffo “situazionista” nientemeno che al Festival di Sanremo, rito annuale che è ormai parte (dal 1951) dell’identità italiana e, quindi, non sempre conservatore o sordo alle novità come a volte si crede. Gli ultimi anni sono caratterizzati da nuove modalità di fruizione della canzone (dal rito “dionisiaco” del concerto della rockstar all’ascolto solipsistico della musica con il riproduttore mp3) e da una forte frammentazione dei modelli. Accanto a forme sostanzialmente nel solco della tradizione e proprio per questo più facilmente esportabili all’estero (come quelle praticate prima da Pupo, Al Bano e Romina, Cutugno; poi da Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Nek, Tiziano Ferro e dal tenore leggero Andrea Bocelli) troviamo le sperimentazioni musicali e linguistiche (a livello sintattico, semantico, lessicale e metrico) di una nuova generazione di cantanti e autori (Jovanotti/Lorenzo Cherubini, Daniele Silvestri, Max Gazzè, Niccolò Fabi, Samuele Bersani, Luca Carboni, Vinicio Capossela, la rivelazione Dente/Giuseppe Peveri e molti altri) che meriterebbero ciascuno una propria, analitica considerazione. Ma il più deciso svincolamento dalle pastoie del rapporto tra parole e note viene da una donna, la cantautrice (anzi, “cantantessa”) catanese Carmen Consoli (Parole di burro), che, con i suoi versi di inusitata lunghezza, l’aggettivazione insolita, l’uso massiccio di forme avverbiali, rompe definitivamente con la tradizione canzonettistica: mai come nelle sue composizioni la musica appare al servizio del testo, e non viceversa. Un vero, radicale, “smascheramento”. Di non minore impatto anche linguistico, sia pure con diverse gradazioni, è il rock dal vivo di star come Vasco Rossi, Zucchero “Sugar” Fornaciari, Ligabue, Gianna Nannini e di gruppi attivi nei più diversi generi musicali (883, CCCP, Litfiba, Articolo 31, Casino Royale, Bluvertigo, La Crus, Afterhours, Tiromancino, Negramaro, Subsonica, Baustelle, Marlene Kuntz, e altri, anche in dialetto) che hanno un vastissimo seguito di pubblico e di fans. Infine il rap (nato negli slums di popolazione di origine afroamericana delle grandi città degli Stati Uniti) che propriamente canzone non è, trattandosi di ritmo martellante, di accentuazione, di “prosodia metropolitana”, che restituendo alla parola la propria autonomia dalla musica ne rafforza la crudezza e il vigore polemico, come, tra gli altri (Frankie Hi-Nrg MC, Fabri Fibra) nel molfettese Caparezza [Michele Salvemini] (Goodbye Malincònia). Ma è storia ancora in buona parte da scrivere.