A differenza del disco, riservato di fatto alla musica, la radio offre spazio oltre che alle note musicali anche alla voce nelle sue diverse possibilità espressive (dalla lettura di testi alla recitazione drammatica, dall'intrattenimento alla conversazione) e anche a una più vasta gamma di suoni, dall'urlo della folla che fu cruciale nella propaganda mussoliniana ai rumori del traffico, alle voci spesso dalla pesante inflessione regionale dei testimoni. In una prima fase però questa capacità della radio di farsi eco dell'intero universo acustico (di quel “paesaggio sonoro” definito da alcuni studiosi come il canadese R. Murray Schafer) rimase fortemente vincolata. Soprattutto in Europa, la radiofonia pubblica si è a lungo assunta un compito, in senso lato, “educativo”. Secondo l'esempio della BBC, che parlava a un pubblico di massa una lingua improntata agli accenti e al vocabolario delle grandi università , almeno fino agli anni Settanta l'oralità della radio si è attenuta in vari paesi tra cui il nostro a un parlato standard, regolare e regolato. Era, più che un parlato autentico, una lingua scritta tradotta in suono. Alla radio gli accenti regionali erano ospitati, sì, ma quasi solo in funzione di intrattenimento comico: secondo la norma non detta per cui le pronunce dialettali appartengono quasi per loro natura a un registro “basso”, divertente ma marginale.
L'italiano radiofonico degli speaker nazionali è rimasto a lungo lo stesso quale che fosse la città da cui si trasmetteva. La prima irruzione del parlato reale delle diverse parti d'Italia si è avuta in un anno quasi simbolico, il 1968, con l'avvento delle trasmissioni che introducevano, attraverso il telefono, le voci del pubblico, a cominciare dalla storica Chiamate Roma 3131. Poi con la fine del monopolio, nel 1975-76, è arrivato il parlato giovanilistico dei disc jockey, sono arrivate anche le “parolacce”, sono arrivate le voci delle tante realtà locali, nel dialogo sempre più fitto tra ascoltatori ed emittenti in tante emittenti cittadine o regionali. E hanno avuto spazio le lingue minoritarie ma che costituiscono una preziosa ricchezza: dal sardo al friulano.