La nascita della moda è di regola associata alla Francia, che dal XVII secolo detta legge nelle nuove fogge. L’abate Lampugnani, coniuga il termine Moda (da mode), con tocco sdegnoso, in “modanti”, “modezzare”, bollando di “infettione” l’invadente potere della “vezzosissima dea”, come canterà un secolo dopo Parini nel Mattino.
Nel 1763, l’età degli sfarzi barocchi del Re Sole volgeva al tramonto: di lì a poco anche lo “stile Maria Antonietta” sostituirà fiocchi rococò, trine e parrucche turrite con più sobrie robe à l'anglaise, fino a cedere lo scettro della moderna eleganza ai severi abiti borghesi. Nel 1789 l'Assemblea rivoluzionaria francese aboliva ogni differenza di classe, almeno per il vestiario e nella liberale Inghilterra un’altra “Gloriosa” rivoluzione, quella industriale, era già in atto, fondendo i termini “Industria” e “Macchina”.
L’Italia, ancora lontana dall’unità politica, pur mantenendo il suo prestigio di “grande artigiana”, importava da fuori la cultura e le mode, filtrate dalle classi dominanti. A farla da padrona nella moda dal XVII e XIX secolo sarà sempre la Francia, anche nel “guardaroba lessicale”, che accoglieva parole come foulard, frac, gilet, guêtre (ghetta), fino al rivoluzionario tailleur, termine che ha in sé la legittimazione del lavoro del sarto, già in auge nel settecento, come si può evincere da testimoni del tempo quali Pietro Longhi e Carlo Goldoni.
Anche le prime riviste arrivarono da Parigi, dal Mercure Galant, nato nel 1672 come bollettino letterario, mode e pettegolezzi, a Le Journal des Dames nel 1759 (dal 1797: Le journal del Dame set des Modes), antesignane del giornalismo di moda. L’Italia esordì nel 1786 con il Giornale delle Nuove mode di Francia e d’Inghilterra, poi con il Corriere delle Dame (1804), giornale milanese che, pur subendo l’egemonia francese, crebbe con la coscienza del Risorgimento e inserì contenuti politici oltre a informazioni di carattere commerciale relative a botteghe artigiane e sartorie milanesi, accorgimento che stimolò le inserzioni pubblicitarie locali con notevole incremento il guadagno. Centrali rimasero sempre i figurini di moda, ispirati alle più famose riviste francesi, ma affiancati da altri realizzati in Italia da sarti locali e, dal 1819, venne pubblicata una raccolta interamente dedicata alla moda milanese. Per le lettrici abbonate si dispose addirittura un servizio di «Vendita di abiti per corrispondenza».
Ampliandosi il ventaglio di accessibilità sia nella richiesta che nell’offerta, l’abito su misura, che prima dell'Ottocento era un lusso da elencare tra i beni testamentari, divenne più raggiungibile. Il modo di intendere e produrre l’abbigliamento si rivoluzionò radicalmente con il progresso della meccanica, portando una nuova organizzazione del lavoro e una redistribuzione dei redditi. Inevitabilmente molte figure professionali si crearono, altre decaddero o si evolsero. Significativa la parabola di Barthélemy Thimonnier, modesto ma ingegnoso sarto francese che depositò nel 1830 un fondamentale brevetto di macchina per cucire; l’anno successivo aprì a Parigi un laboratorio con 70-80 macchine per la fabbricazione di divise militari, ma fu assalito da una turba di sarti a domicilio inferociti che, temendo in pericolo il proprio lavoro, mandarono a fuoco il laboratorio distruggendone tutti i macchinari.
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