3. La cucina italiana del Settecento

Cucina
Jean-Étienne Liotard, "La cioccolataia", olio su tela, 1744

Il Settecento fu un secolo di grandi cambiamenti anche in campo culinario: l'uso delle carni diminuì e si diffuse quello del grano, ma soprattutto del granturco e, solo più tardi — dopo aver superato una forte diffidenza — della patata, dalla quale si iniziò a ricavare anche una farina con cui produrre la pasta. Inoltre, aumentò l'uso del burro — base fondamentale delle salse, immancabili nei pranzi settecenteschi. Si affermarono poi nuove bevande, che affiancarono e sostituirono vino e birra: cioccolato, tè e caffè.

 

La distillazione dell'alcool, poi, portò all'uso dei distillati di melassa (rum); di frutta (calvados, kirsch, maraschino, ecc.); di cereali (vodka, whisky, gin, ecc.), e dei liquori dolci (in particolare rosolio, ratafià). Ma ciò che costituì proprio una rivoluzione fu, a partire dalla seconda metà del Seicento, l'abbandono graduale dell'uso delle spezie, mantenendo soltanto la cannella e poche altre, e prediligendo invece l'erba cipollina, lo scalogno, i funghi, i capperi, le acciughe. Tutto ciò avvenne sulla base di un nuovo tipo di cucina che distinse i sapori agro e dolce — fin dal Medioevo mescolati assieme — anche attraverso un uso più contenuto dello zucchero, con cui ci si limitò a confezionare preparazioni di credenza da presentare a fine pasto. Questa era dunque la nuova cucina, già prospettata da La Chapelle nel suo Cuisinier moderne (1735) e formulata nella sua totalità a partire dalla pubblicazione, nel 1739, dei Dons de Comus ou les délices de la table attribuito a un certo Marin. Proprio nella prefazione di quest'ultimo ricettario si legge quello che si può definire il manifesto della nouvelle cuisine.

 

Fu così che nel Settecento le élites francesi, con le loro scelte, influenzarono tutto il panorama europeo, almeno nelle regioni occidentali, come Italia e Spagna. Tra le mode legate al mangiare, le più diffuse furono il mangiare 'pitagorico' (vegetariano) e il bere 'in neve', ossia gelato. Per ciò che riguarda l'apparecchiamento della tavola, le regole si erano semplificate, come dimostrato dalla riduzione dei 'servizi' (le parti che componevano il pasto). Inoltre, emergono altre tipologie di pasto, più veloci, ma pur sempre di gran figura, come i pranzi o le cene in ambigù («vale a dire tutto in una portata senza Zuppe quante volte il Padrone non le ordini espressamente»).

 

Un altro fenomeno in voga a Parigi, la città che all'epoca dettava la regola in materia di raffinatezze, era quello di fare una sorta di piccolo pranzo a metà giornata, per poi pranzare realmente la sera. Di questo Leonardi, però, dice: «Quello forse a cui gl'Italiani non sapranno uniformarsi, sarà quello dico, di Pranzare la sera; mentre nella nuova maniera di servire le Tavole si è introdotto anche il costume di fare la mattina verso il mezzo giorno una colazione (Dejeunè), e poscia la sera, o prima, o dopo il calar del sole, Pranzare, essendosi trovato questo tempo più comodo per gli Uomini di Grandi affari».