10. Creatività senza confini e autarchia: moda tra le due guerre

Moda e design
Manifesto pubblicitario dei Dischi Columbia. Fonte: arteliberty.it

Finita la prima guerra mondiale la Bella Otero, ideale di femme fatale dalla flessuosa linea a “S”, si ritirò dalle scene e con lei la Belle époque: d’origine spagnola, le sue forme mediterranee mal si adattavano al nuovo ritmo importato dall’America. Già a inizio secolo due audaci americane avevano scosso i corpi della vecchia Europa: Loïe Fuller snodava la grande tunica in danze serpentine e Isadora Duncan liberava al movimento gli scandalosi pepli verso un Eden perduto. Muse entrambe dei tanti artisti decisi a cogliere con ogni tecnica quel vano fluire, danzavano il loro anticonformismo sulle note dei classici, cercando l’espressività nelle nostre radici; non esportarono così una vera espressione autoctona, come lo fu il jazz: Duke Ellington stesso lo definì “come il tipo d'uomo con cui non vorreste far uscire vostra figlia”. Ma queste figlie erano donne emancipate, disinibite: sigaretta in mano, pronte a conquistare il mondo, a rimboccarsi le maniche lavorando e "osando", anche nel campo dello stile e della moda, come Coco Chanel, che lanciò il taglio di capelli alla garçonne, corto e essenziale come la petite robe noire, intramontabile quanto l’intrigante fragranza dello Chanel No.5. E intrigante fu quella tendenza all’androgino della donna filiforme, come Ida Rubinstein (approdata a Parigi fra i dirompenti colori dei Ballets Russes di Diaghilev), stilizzata, come la linea dell’arte contemporanea, ma anche “selvaggia”, come Josephine Baker, l’afroamericana dall’impudente vitalità che incendiò le notti parigine.

 

La voga “americana” nasceva anche dal mito della ricchezza d’oltreoceano, un benessere reale che favorì l’esportazione di beni di lusso di produzione italiana e Francese. Ma alla crisi del 1929 ogni Stato, liberale o assolutista che fosse, rispose con decreti protezionisti. Così Gran Bretagna e Stati Uniti, fautori di lungo corso dell’igiene fisica e dello sport, convalidarono la loro autonomia creativa nella produzione di capi sportivi, più classici e raffinati i primi, più accessibili e informali gli altri.

 

La creatività si nutre di scambio, di movimento, fondamentale in ogni campo del design. Molti “creativi” italiani trovarono terreno fertile oltre confine, alcuni oltreoceano, come Salvatore Ferragamo (salvo poi tornare in Italia, già famoso, in cerca di artigiani all’altezza delle sue creazioni). Fu la Parigi delle avanguardie che pubblicò gran parte dei manifesti del futurismo italiano, movimento in cui militò anche l’estroso Thayaht, vero designer della moda, artefice della TUTA, abito unitario a forma di 'T' basato sul concetto di praticità, economia e riproducibilità, che cambiava d’uso secondo il tessuto di confezione: uniforme da lavoro, abito da viaggio o esclusivo abito da sera in lamè. Madeleine Vionnet lo volle nel suo atelier per declinare in infinite varianti il suo rivoluzionario “taglio in sbieco”. Da qui l’artista fiorentino influenzò la moda parigina dal 1918 al 1925.

 

A Parigi giunse Elsa Schiaparelli, nel 1922. Stravagante e anticonformista, si alleò a cubisti, surrealisti e dadaisti come Man Ray, Duchamp, Picabia, già incrociati a New York. Lungimirante, ideò collezioni “a tema” e sfilate-spettacolo, fondendo il senso italiano di artigianalità a stilemi dell’avanguardia: mix cromatici mozza fiato, come il rosa shocking (come il suo profumo dall’ampolla sinuosa, disegnata da Leonor Fini sul busto hollywoodiano di Mae West), materiali pioneristici (goffrato “escorce d’arbre”, fibre artificiali e trasparenti), ricami polimaterici e tessuti stampati ispirati da Dalì o Jean Cocteau, che dirà di lei: “Ogni uscita dell’italiana era un evento dadaista”, come il “cappello-Scarpa” o il “Gallina”.

 

Alle lusinghe del regime e alla guerra reagì con Cash and carry, una collezione di abiti multiuso con tasche e zip per la donna “in fuga”, come lei. Al suo rientro dall’America nel dopoguerra, il new look di Christian Dior dettava già legge in Europa. Ma "l'artista che fa vestiti", come ironizzava su di lei Chanel, parimenti segnò la moda internazionale, da Yves Saint Laurent a Giorgio Armani e oltre.

 

BIBLIOGRAFIA:

Elsa Schiaparelli, Shocking Life. Autobiografia di un'artista della moda, Padova, Alet, 2008

Caterina Chiarelli - testi di G. Uzzani, a cura di, "Thayaht e Ram. La Tuta/Modelli Per Tessuti. Per il Sole e Contro il Sole". Catalogo della mostra, con la presentazione di Antonio Paolucci. Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino. Galleria del Costume di Palazzo Pitti, Sillabe, Livorno 2003.