La riflessione filosofica e la poetica di Leopardi hanno come tema centrale la condizione umana, il rapporto dell’uomo con la natura e la storia, il suo desiderio sempre inappagato di felicità e piacere.
La critica, facendo riferimento soprattutto agli appunti contenuti nello Zibaldone, ha ricostruito l’evoluzione del pensiero di Leopardi, individuando alcune fasi significative denominate “pessimismo storico” e “pessimismo cosmico”.
Queste fasi sono caratterizzate dall’idea, sempre più forte e radicata col passare del tempo, che gli esseri viventi sono condannati dalla Natura matrigna a un’infelicità senza rimedio.
Nell’ultima fase della sua elaborazione filosofica, che corrisponde anche agli ultimi della vita, il poeta si appella a tutti gli uomini perché pongano fine ai conflitti e agli egoismi individuali e, uniti, facciano fronte alla Natura ostile. Leopardi recupera i grandi valori umani – la solidarietà, la pace, la fratellanza – e li propone come unica possibilità di riscatto e liberazione dal dolore e dalla sofferenza.
1816/1819 – La fase del “pessimismo storico” inizia con l’intervento di Leopardi nella polemica fra classicisti e romantici suscitata dall’articolo Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni pubblicato da Madame de Staël sul periodico letterario Biblioteca Italiana. Madame de Staël criticava i classicisti per le loro idee antiquate e ripetitive e li invitava a prendere spunto dalle moderne letterature della Germania e della Francia, nuove e aperte al cambiamento.
A rispondere, in nome dei classicisti, fu Pietro Giordani, che aveva tradotto dal francese l’articolo. I letterati italiani – affermava Giordani – da secoli imitavano i poeti classici, che avevano raggiunto la perfezione della bellezza e dell’armonia; quindi non avevano bisogno di altri maestri.
Anche Leopardi prende le difese dei classicisti, nel 1816 in un articolo che non viene pubblicato e poi nel 1818 nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica: il confronto fra tempi antichi e tempi moderni si risolve a favore del passato, in cui regnavano la poesia e l’immaginazione e quindi anche la felicità.
Scrive Leopardi nello Zibaldone: la ragione è nemica della natura: la natura è grande, la ragione è piccola. Questa riflessione lo porta a elaborare il concetto di “pessimismo storico”.
La Natura ha creato gli uomini felici perché li ha dotati della fantasia, che permette loro di non vedere i mali della vita; ma il progresso e la civiltà hanno dato sempre più spazio alla Ragione, che ha tolto all'uomo la fantasia e quindi la capacità di illudersi e di sperare. Gli antichi erano felici perché sapevano immaginare e traducevano questa capacità in grandi azioni eroiche; i moderni sono invece prigionieri di un mondo angusto, teso solo al soddisfacimento di bisogni elementari, privo delle grandi visioni e passioni che caratterizzavano il passato: la virtù, l’eroismo, la forza del corpo e dell'anima.
1819/1927 – In questo periodo Leopardi, partendo dalla riflessione sull’infelicità, elabora una “teoria del piacere” secondo la quale “l'amor proprio”, cioè l’amore che ogni persona ha per se stessa è anche la causa della sofferenza; infatti questo amore ci porta a desiderare un piacere infinito, destinato a non poter essere mai interamente soddisfatto e perciò a generare tormento. Scrive nello Zibaldone:
[…] Il vivente... desidera il bene senza limiti. Questo bene in sostanza non è altro che il piacere. Qualunque piacere ancorchè grande... ha limiti... Quindi nessun piacere può soddisfare il vivente... Dunque questo desiderio stesso è cagione a se medesimo di non poter essere soddisfatto (12 febbraio 1821).
Il fallimento dei moti liberali del 1821 mette in dubbio la speranza di Leopardi che sia possibile recuperare una qualche antica felicità attraverso l’impegno civile. Anche per questo la sua attenzione si sposta dal tema della felicità che non si può raggiungere a quello dell’infelicità che non si può evitare.
La conclusione a cui arriva è chiamata “pessimismo cosmico”: anche se l’uomo riuscisse a raggiungere il piacere, questo non compenserebbe mai i mali – la malattia, la vecchiaia e la morte – a cui la Natura lo ha destinato. Dio non esiste, tutto è meccanico e casuale; l’uomo è una delle tante creature che abitano la terra e la Natura non è guidata da un disegno benevolo, non ha a cuore la felicità dei viventi – uomini o animali che siano – ma mira solo a perpetuare l’esistenza del cosmo:
Cosa certa e non da burla si è che l'esistenza è un male per tutte le parti che compongono l'universo (e quindi è ben difficile il supporre ch'ella non sia un male anche per l'universo stesso...) ... Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl'individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi. (Zibaldone – 22 aprile 1826)
1830/1837 – Il pensiero di Leopardi si evolve e si trasforma nuovamente. A chi lo accusa di proporre una visione del mondo senza alcuna speranza, Leopardi presenta una morale, una filosofia nuova, laica, che non si fonda sulle illusioni della religione o sui falsi miti del progresso ma sulla verità indicata dalla Ragione e sulla solidarietà.
L’uomo è una creatura fragile, destinata all’infelicità dalla natura che lo ha creato all’affanno; quello che l'uomo può fare, quindi, è non aggiungere altro male entrando in lotta con i suoi simili.
I conflitti, causati nella maggior parte dei casi per il possesso di beni materiali, sono, oltre che dannosi, anche inutili: infatti questi beni non risolvono in alcun modo il problema dell’infelicità mentre le guerre, le violenze, le distruzioni che ne derivano vanno ad accrescere il dolore e la disperazione. Il Vero e la Ragione, quindi, non sono più nemici dell’uomo ma, togliendogli l’illusione di essere al centro dell’universo e oggetto di un disegno divino, indicano una possibile via da percorrere: recuperare le virtù civili come la giustizia, la lealtà, la solidarietà, capaci di unire gli uomini nella lotta contro le avversità e di ripristinare l’equilibrio e l’armonia delle origini:
La mia filosofia, non solo non è conducente alla misantropia, come può parere a chi la guarda superficialmente, e come molti l'accusano; ma di sua natura esclude la misantropia, di sua natura
mira a sanare, a spegnere quel mal umore, quell'odio, non sistematico, ma pur vero odio, che tanti e tanti, e non vorrebbero esser chiamati né creduti misantropi, portano però cordialmente a' loro simili... La mia filosofia mira a sanare tale malessere, sollecita gli uomini a trovare forme di solidarietà, a superare gli steccati ch'essi stessi innalzano; del male che s'arrecano l'un l'altro, non sono responsabili gli uomini. La mia filosofia fa rea d'ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l'odio, o se non altro il lamento, a principio più alto, all'origine vera de' mali de' viventi (Zibaldone del 2 gennaio 1829).