Umberto Saba, nato e vissuto a Trieste (1883-1957), occupa un posto molto particolare nella cultura del suo tempo; è un poeta solitario, che non si riconosce nelle importanti correnti letterarie e culturali italiane del Novecento. Così scrive nel Canzoniere, la sua autobiografia in versi:
Gabriele D'annunzio alla Versiglia/vidi e conobbi; all'ospite fu assai/egli cortese; altro per me non fece./ A Giovanni Papini, alla famiglia/che fu poi della Voce, io appena o mai/ non piacqui. Ero fra lor di un'altra specie.
Anche negli anni che seguono la prima guerra mondiale e durante il fascismo non parteciperà alle esperienze della Ronda e dell'Ermetismo. È il poeta dell’onestà : per lui la poesia deve essere onesta, cioè esprimere in modo sincero la realtà del mondo, evitando compiacimenti stilistici e concettuali; questo fa di lui un isolato, che è però orgoglioso della sua scelta e cosciente di aver realizzato un'opera poetica resistente come una quercia. Ormai vecchio, scriverà :
È tardi. Affronto lieto il gelo/di fuori. Ho in cuore di una vita il canto,/ dove il sangue fu sangue, il pianto pianto./ Italia l'avvertiva appena. Antico/ resiste, come quercia, allo sfacelo.
Non vuole, però, essere definito il poeta di Trieste perché ha scelto di analizzare il suo tormento interiore con chiarezza e lucidità , lontano dal romanticismo acceso e dall'irrazionalismo esasperato che caratterizza l'ambiente culturale triestino. Il suo dolore personale quindi assume un valore universale: il poeta non si sente unico portatore di un avverso destino, ma un uomo come tutti gli altri e questo gli dà la forza di amare le cose quali esse sono e di conservare intatto, in mezzo a contraddizioni, sconfitte e traversie, un doloroso ma indomabile amore per la vita.