Sabato, domenica e lunedì è una commedia ambientata in una famiglia borghese composta da due coniugi che quasi non si sopportano più, con figli grandi che affrontano i problemi e i malesseri della loro età . Anche se la vicenda termina con un lieto fine, la riconciliazione tra i due coniugi, lo sguardo amaro di Eduardo mette a nudo la dolorosa contraddizione tra i riti della tradizione familiare, come il pranzo domenicale, e i conflitti che vi si scatenano.
Nel primo Atto si svolge un dialogo tra Rosa, la padrona di casa e Virginia, la domestica, mentre stanno preparando il ragù, che mette in evidenza le difficoltà di rapporto tra classi sociali diverse:
Virginia Allora signo’, me lo date il permesso domani?
Rosa Virgi’, devi stare qua. Ho parlato tedesco poco prima? Alla fine del mese io faccio il mio dovere, e tu devi fare il tuo. Se tuo fratello va carcerato, peggio per lui.
Virginia Io resto, ma il mio dovere non lo posso fare in tutto e per tutto. Se rompo qualche cosa, se mi chiamate e io non rispondo a tempo, non vi dovete fare prendere quello dei cani, perché io sto qua, ma la testa la tengo a casa.
Rosa E invece devi tenere pure la testa qua, se no ti licenzio e buonanotte.
Virginia E allora per domani solamente mi porto a mio fratello con me.
Rosa Ma che sei pazza? Vuoi portare in casa un tipo come tuo fratello? E questo ci manca.
Virginia Ma quando sta con me diventa una pecora. E poi la famiglia vostra la rispetta. A voi specialmente vi vuole un bene pazzo.[1]
Come si vede, anche per adeguarsi all’ambiente borghese rappresentato (come è stato osservato da molti critici), la lingua usata dall’autore è un italiano colloquiale costruito con frasi brevi e con espressioni cristallizzate di largo uso («ho parlato tedesco», «diventa una pecora»), con ridondanza pronominale («A voi… vi vuole»), uso del che per introdurre l’interrogativa e del ma a inizio di frase («ma che sei pazza?»). Insieme a questi elementi, troviamo tratti centromeridionali come gli allocutivi apocopati («signo’», «Virgi’»), tenere per ‘avere’, il complemento oggetto preceduto dalla preposizione a («mi porto a mio fratello con me»), la posposizione del possessivo («la famiglia vostra»), l’uso del voi come pronome di cortesia, invece del lei o del tu.
La varietà dialettale compare ogni tanto come forma tipica dell’espressione emotiva, adatta a soddisfare il bisogno di una comunicazione immediata come, per esempio, nelle battute seguenti:
Peppino (sul punto di esplodere) Rusi’ è meglio ca nun parlo, se no muore Sansone con tutti i Filisdei.[2]
Rosa (tentenna il capo fissando il suo sguardo negli occhi di Peppino in segno di rimprovero) Che m’ʼè fatto passa’… e quanto mi sei costato.[3]
[1] Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni dispari, a cura di A. Barsotti, Torino, Einaudi, 1995, vol. II, p. 404.
[2] Ivi, p. 452.
[3] Ivi, p. 455.