"In memoria": l’amico perduto

    Letteratura e teatro

    In memoria, la poesia che apre la raccolta Il porto sepolto, è dedicata a Moammed Sceab, amico di Ungaretti durante l'infanzia trascorsa ad Alessandria d'Egitto ed emigrato come lui a Parigi. Moammed, però, non riesce a sopportare la sua condizione di nomade senza patria e si suicida nel 1913 in una stanza dell’albergo di rue des Carmes dove alloggiava anche il poeta. In Vita di un uomo, Ungaretti definisce Moammed Sceab un ragazzo dalle idee chiare che – a differenza di lui, rimasto fedele a Mallarmé e Leopardi – prediligeva Baudelaire ed era addirittura soggiogato da Nietzsche, autori che spesso diventavano per i due amici occasione di discussioni interminabili.

     

    IN MEMORIA.

    Locvizza il 30 settembre 1916.

     

    Si chiamava

    Moammed Sceab

     

    Discendente
    di emiri di nomadi
    suicida
    perché non aveva più
    Patria


    Amò la Francia
    e mutò nome

     

    Fu Marcel
    ma non era Francese
    e non sapeva più
    vivere
    nella tenda dei suoi
    dove si ascolta la cantilena
    del Corano

    gustando un caffè

     

    E non sapeva
    sciogliere
    il canto
    del suo abbandono

     

    L’ho accompagnato
    insieme alla padrona dell’albergo
    dove abitavamo
    a Parigi
    dal numero 5 della rue des Carmes
    appassito vicolo in discesa.

     

    Riposa
    nel camposanto d’Ivry
    sobborgo che pare
    sempre
    in una giornata
    di una
    decomposta fiera

     

    E forse io solo
    so ancora
    che visse

     

    La poesia consiste in una serie di informazioni scarne (Si chiamava, Fu Marcel), con riferimenti a luoghi ben precisi (Parigi/dal numero 5 della rue des Carmes; camposanto d’Ivry), espresse in strofe e versi spezzati che conferiscono alla narrazione un tono distaccato e doloroso ed un ritmo lento, simile a quello di una nenia funebre.

    Le parole più significative (suicida, Patria, vivere, sciogliere, Riposa, sempre) stanno da sole, isolate nello spazio bianco del verso; fra queste, Patria, vivere e sciogliere sono precedute – potremmo dire sovrastate – dalla negazione non (non aveva più/Patria; non sapeva più/vivere; non sapeva sciogliere) che esprime l’impossibilità di ricostruire legami, di superare l’isolamento e la solitudine. La congiunzione e posta all’inizio del verso mette in evidenza lo spazio vuoto che la precede nella pagina (e mutò nome; e non sapeva più); quella in maiuscolo all’inizio delle strofe (E non sapeva; E forse io solo) sembra voler creare un faticoso e sofferto raccordo fra i versi separati dagli spazi bianchi, che creano pause cariche di silenzio.

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