"I Malavoglia": lo stile e il linguaggio

Letteratura e teatro

Nella lettera di presentazione all’Amante di Raja (che poi diventerà L’amante di Gramigna), Verga esplicita le scelte stilistiche che attuerà nei Malavoglia. L’autore di un romanzo – afferma – deve prendere come soggetto un documento umano, analizzarlo con scrupolo scientifico utilizzando  le parole semplici e pittoresche della narrazione popolare e avere il coraggio divino di eclissarsi e sparire nella sua opera immortale: la vicenda deve sembrare essersi fatta da sé, un evento naturale e reale che l’autore si limita a registrare dando voce ai personaggi che la vivono e al mondo in cui essa si svolge.

 

I Malavoglia  espressione concreta di questo progetto innovativo – sono un racconto corale, creato dalle parole e dai pensieri dei pescatori di Aci Trezza. Per rendere il romanzo il più possibile oggettivo, impersonale e quindi aderente alla realtà, Verga elimina la figura del narratore che fa da guida il lettore con i suoi commenti; utilizza inoltre un italiano molto particolare, con termini, inflessioni ed espressioni dialettali tipiche dei contadini e dei pescatori e con una struttura sintattica che riproduce il parlato. Queste scelte stilistiche, che rendono difficile la lettura, determinarono lo scarso successo di pubblico e di critica dei Malavoglia: in una lettera dell’11 aprile 1881 all’amico Capuana, Verga parla di fiasco, fiasco pieno e completo [1]. Ma sono proprio queste novità destabilizzanti ed estremamente originali a fare del romanzo un autentico capolavoro.

 

La storia si apre con un’indicazione di tempo indefinita - Un tempo - che ricorda l’incipit delle fiabe delle narrazioni popolari, e senza alcuna premessa: il lettore si trova catapultato in mezzo all’azione nel paese di Aci Trezza e nella famiglia dei Malavoglia senza che gli vengano fornite indicazioni riguardo ai luoghi o ai personaggi, come se fosse nato in mezzo a loro e li conoscesse da sempre.

 

Per mantenere nella scrittura le caratteristiche della lingua orale Verga utilizza molti espedienti. Sceglie un lessico elementare e ripetitivo, dove abbondano parole, espressioni e similitudini tratte dal mondo dei pescatori (come i sassi della strada vecchia di Trezza, barche sull’acqua, tegole al sole, ammarrata, paranza), riferimenti a luoghi conosciuti solo a chi li abita (Trezza, Ognina, Aci Castello), soprannomi (Malavoglia, Cipolla), sentenze (da che mondo è mondo), proverbi (Per menare il remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro):

 

Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev’essere. Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron ’Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch’era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla.

Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lavatoio; e padron ’Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso - un pugno che sembrava fatto di legno di noce - Per menare il remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro.

 

Organizza costrutti sintattici con periodi brevi in cui prevale la coordinazione e l’accumulo di congiunzioni (polisindeto); impiega espressioni che per essere interpretate hanno bisogno di un riferimento al contesto (deittici); usa di frequente il pronome che, tipico del dialetto siciliano:

 

Poi veniva la Longa, una piccina che badava a tessere, salare le acciughe, e far figliuoli, da buona massaia; infine i nipoti, in ordine di anzianità: ’Ntoni il maggiore, un bighellone di vent’anni, che si buscava tutt’ora qualche scappellotto dal nonno, e qualche pedata più giù per rimettere l’equilibrio, quando lo scappellotto era stato troppo forte; Luca, «che aveva più giudizio del grande» ripeteva il nonno; Mena (Filomena) soprannominata «Sant’Agata» perché stava sempre al telaio, e si suol dire «donna di telaio, gallina di pollaio, e triglia di gennaio».

 

Fa largo uso dei dialoghi e dei monologhi (discorso diretto) oppure elemina le didascalie del discorso diretto, mettendolo in terza persona (discorso indiretto libero):

 

 Addio ’Ntoni!  Addio mamma!  Addio! ricordati! ricordati!  Lì presso, sull’argine della via, c’era la Sara di comare Tudda, a mietere l’erba pel vitello; ma comare Venera la Zuppidda andava soffiando che c’era venuta per salutare ’Ntoni di padron ’Ntoni, col quale si parlavano dal muro dell’orto, li aveva visti lei, con quegli occhi che dovevano mangiarseli i vermi.

Comare Venera la Zuppidda, per confortare comare la Longa, le andava dicendo:  Ora mettetevi il cuore in pace, che per cinque anni bisogna fare come se vostro figlio fosse morto, e non pensarci più.

Ma pure ci pensavano sempre, nella casa del nespolo, o per certa scodella che le veniva tutti i giorni sotto mano alla Longa nell’apparecchiare il deschetto, o a proposito di certa ganza che ’Ntoni sapeva fare meglio di ogni altro alla funicella della vela, e quando si trattava di serrare una scotta tesa come una corda di violino, o di alare una parommella che ci sarebbe voluto l’argano. Il nonno ansimando cogli ohi! ooohi! intercalava  Qui ci vorrebbe ’Ntoni  oppure  Vi pare che io abbia il polso di quel ragazzo? La madre, mentre ribatteva il pettine sul telaio  uno! due! tre!  pensava a quel bum bum della macchina che le aveva portato via il figliuolo, e le era rimasto sul cuore, in quel gran sbalordimento, e le picchiava ancora dentro il petto,  uno! due! tre!



[1]  In G. Verga, Storie de I Malavoglia: carteggio con Luigi Capuana, a cura di L. e V. Perroni, in Nuova Antologia, LXXV, 1 aprile 1940

 

 

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