Come è noto, Eduardo De Filippo sottopose le proprie commedie a svariate revisioni, sia in relazione al tipo di messa in scena scelto di volta in volta (teatro, radio, televisione, cinema), sia in relazione alle edizioni a stampa dei testi. Natale in casa Cupiello fu scritta come atto unico nel 1931 e, successivamente, vennero aggiunti altri due atti, il primo e il terzo. Ecco di seguito le battute di apertura del testo definitivo. La prima versione è quella dell’edizione 1971 (molto vicina alla prima edizione, del 1959)[1]:
Concetta (col tono monotono di chi sa in anticipo che dovrà chiamare chi sa quante volte prima di essere ascoltata) Lucarie’… Lucarie’… Scétate, so’ ʼe nnove (Pausa. Luca continua a dormire. Concetta c. s. ma un poco più forte) Lucarie’… Lucarie’… Scétate, so’ ʼe nnove (Luca ha un grugnito di sotto le coperte girandosi dall’altro lato. Pausa. Concetta c. s. sempre con lo stesso tono) Lucarie’… Lucarie’… Scétate, so’ ʼe nnove. Pigliate ʼo ccafè.
Luca (senza capire, ancora mezzo addormentato) Ah?... ʼO ccafè? (Mormorando qualche cosa mette fuori prima la testa che ha avvolta completamente in uno scialle di lana, poi siede in mezzo al letto, stende un braccio come per prendere il caffè, ma pian piano lo abbandona, reclina la testa e riprende a dormire. Tutta l’azione è stata eseguita da lui ad occhi chiusi).
Concetta (vedendo che si è riaddormentato, riprende calma) Lucarie’… Lucarie’… Scétate, so’ ʼe nnove. (Piccola pausa) Lucarie’…
Luca (aprendo gli occhi infastidito ripete con lei) Lucarie’… Ah! E comme si’ scucciante! Lucarie’… Lucarie’… E famme durmi’!
Concetta Pigliate ʼo ccafè…
Luca (di malavoglia) ʼO ccafè… Sissignore. Miette ccà .
Concetta (dandogli la tazzina) Tie’…
Luca Che or’è?
Concetta T’aggio ditto: so’ ʼe nnove.
Luca (sbadiglia) Già ʼe nnove?... È un affare serio, sapete… Nun te puo’ cucca’ ca sùbbeto se fanno ʼe nnove. Fa friddo?
Concetta (completando il suo abbigliamento e senza voltarsi) Haie voglia, Lucarie’… Fa friddo assaie.
La seconda versione figura nell’ultima edizione del 1979[2]:
Concetta (entra dalla destra con passo cauto […] Con tono di voce monotono, abitudinario, cerca di svegliare il marito) Lucarie’… Lucarie’… Scétate, songh’ ʼe nnove! (dopo una piccola pausa, torna alla carica) Lucarie’… Lucarie’… Scétate, songh’ ʼe nnove. (Luca grugnisce e si rigira su se stesso, riprendendo sonno. La moglie insiste) Lucarie’, Lucarie’, scétate, songh’ ʼe nnove.
Luca (svegliandosi di soprassalto) Ah! (Farfuglia) Songh’ ʼe nnove…
Concetta Pigliate ʼo ccafè. (Luca, pigro e insonnolito, fa un gesto come per prendere la tazza del caffè, ma il sonno lo vince di nuovo […]) Lucarie’… Lucarie’… Scétate, songh’ ʼe nnove!
Luca (si siede in mezzo al letto e si toglie, svolgendoli dalla testa, uno alla volta, due scialletti di lana e una sciarpa; poi guarda di sbieco la moglie) Ah, songh’ ʼe nnove? Già si sono fatte le nove! La sera sei privo di andare a letto che subito si fanno le nove del giorno appresso. Conce’, fa freddo fuori?
Concetta Hai voglia! Si gela.
Dal confronto, emergono alcune persistenze ma anche alcune variazioni. Nelle didascalie, vediamo come il famoso gesto compiuto da Luca semiaddormentato di svolgersi dalla testa «uno scialle di lana», oppure «due scialletti di lana e una sciarpa» resta anche nella seconda versione; infatti, come afferma Paolo Puppa, lo spettatore «non potrà facilmente dimenticare quell’ammasso di coperte e di scialli che si scuotono gemendo alla luce e alla squallida giornata che l’attende»[3]. Invece, nell’edizione del 1979, le battute interlocutorie sono state sfrondate per agevolare lo svolgersi dell’azione.
Dal punto di vista linguistico, si nota un abbassamento del livello dialettale in favore dell’uso di un italiano regionale campano di più ampia comprensibilità : l’espressione «Nun te puo’ cucca’ ca sùbbeto se fanno ʼe nnove» diventa «La sera sei privo di andare a letto che subito si fanno le nove del giorno appresso»; la domanda di Luca a Concetta «Fa friddo?» diviene « fa freddo fuori?» e la risposta di Concetta « Haie voglia, Lucarie’… Fa friddo assaie» diventa, nell’edizione ʼ79, «Hai voglia! Si gela». L’unica espressione che sembra alludere a un’inversione di tendenza, dall’italiano al dialetto, è « songh’ ʼe nnove» che però, nell’ultima battuta di Luca qui riportata, è seguita dalla “traduzione” in italiano: « Ah, songh’ ʼe nnove? Già si sono fatte le nove!».
Nell’ambito delle diverse edizioni a stampa e nel corso delle loro numerosissime messe in scena, le opere teatrali di Eduardo hanno mostrato una variazione linguistica di ampio spettro, tanto che sarebbe impossibile ricondurle semplicisticamente all’uso del dialetto napoletano. Natale in casa Cupiello è una delle commedie che dimostrano con maggiore evidenza il passaggio nel corso del tempo dal dialetto all’italiano regionale. Il linguista Nicola De Blasi dimostra come la dialettalità , integrale nel manoscritto originario e prevalente nell’edizione del 1959, si stemperi nell’edizione successiva in un italiano locale napoletano che nelle frasi di alcuni personaggi «Ã¨ spesso un italiano imperfettamente controllato, con ricadute verso il dialetto e verso forme improprie tipiche dell’italiano popolare», tanto da provocare esilaranti strafalcioni come permettuto ‘permesso’, alfabetico ‘analfabeta’, forse l’avete liggiuta la licrama ‘forse avete letto la réclame’, guadambio ‘guadagno’, stono ‘sto’[4]. Si tratta, come sottolinea De Blasi, di errori che suscitano la risata, ma sono comunque forme verosimili e diffuse presso alcuni parlanti di certi ambienti. L’avvicinamento all’italiano, tuttavia, risente del cambiamento di strato sociale nel quale si svolge la commedia: dall’ambiente schiettamente popolare che la caratterizzava quando è stata composta, a quello piccolo-borghese delle rappresentazioni più recenti.
Ma i diversi livelli sociali dei parlanti non costituiscono l’unico fattore che determina le variazioni linguistiche introdotte da Eduardo, sempre attento alla verosimiglianza dei dialoghi. Ancora De Blasi ci ragguaglia sulla situazione linguistica a Napoli: «Per chi conosce dall’interno la realtà napoletana è facile notare come da una zona all’altra della città siano avvertibili sensibili differenze negli usi linguistici e nelle abitudini di vita, in una variazione percepibile all’interno della geografia sociale e linguistica cittadina: è intuitiva per esempio la constatazione che in talune zone il dialetto si parla più frequentemente che altrove»[5].
Non deve perciò meravigliare che in una commedia ambientata in un basso, come Napoli milionaria!, il dialetto abbia uno spazio considerevole, mentre in Le bugie con le gambe lunghe, che si svolge non nel centro di Napoli ma in un palazzo borghese del Vasto, uno dei nuovi quartieri nati nel corso del ’900, l’italiano dell’uso medio è più usato del dialetto, anche perché in casa del protagonista si vedono «libri curati e ben disposti un po’ dappertutto». E ancora, l’ambiente di Questi fantasmi! è un antico palazzo storico del centro, come molti altri caratterizzato dalla tradizionale convivenza tra differenti strati sociali: nella commedia si passa perciò dal dialetto usato dal portiere del palazzo all’italiano parlato dal protagonista, Pasquale Lojacono, nel rivolgersi al professore che abita di fronte. «Nelle commedie di Eduardo De Filippo, in conclusione, troviamo indizi di diversi atteggiamenti verso il dialetto: dal dialetto usato come lingua spontanea e affettiva all’interferenza involontaria con l’italiano e l’inglese, dal dialetto evitato al dialetto osservato dall’esterno, fino al dialetto evocato e assaporato»[6].
[1] I capolavori di Eduardo, Torino, Einaudi, 1973, vol. I, pp. 67-68.
[2] Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni pari, a cura di A. Barsotti, 1998, pp. 359-360.
[3] Paolo Puppa, Teatro e spettacolo nel secondo Novecento, Roma-Bari, Laterza, p. 794.
[4] Nicola De Blasi, Dialetto e realismo linguistico nella percezione degli autori napoletani di teatro, in «Linguistica e Letteratura», XXXI, 1-2, 2006, pp. 89-109, a p. 103.
[5] Id., Città , personaggi e atteggiamenti verso il dialetto nel teatro di Eduardo De Filippo, in «Quaderns d’Italià », 12, 2007, pp. 25-36, a p. 27.
[6] Ivi, p. 36.