È diventata ormai luogo comune la tesi secondo cui la vera “maestra d'italiano” nell'Italia del dopoguerra, sarebbe la televisione. Una tesi che riprende, semplificandole, alcune affermazioni di un grande linguista, Tullio De Mauro, nel suo libro del 1961 Storia linguistica dell'Italia unita e le intreccia con una diffusa convinzione, secondo la quale la televisione dei primi vent'anni (1954-74) si sarebbe assunta un compito soprattutto educativo. In realtà , quella espressa da De Mauro è un'interpretazione più sottile e articolata. Secondo il linguista, è nell'insieme dei media audio-visivi (televisione ma anche radio e cinema) che gli italiani hanno trovato le versioni parlate di una lingua che in precedenza era essenzialmente scritta: una lingua che rimaneva legata all'Italia centrale ma era, ora, più vicina al romano che al tradizionale fiorentino.
Inoltre non si deve esagerare la funzione “pedagogica” del mezzo. Nella gestione di Ettore Bernabei, direttore generale della RAI dal 1961 al 1974, il monopolio televisivo era volto più alla costruzione di un largo consenso, basato sull'intreccio di informazione e intrattenimento, che a una finalità propriamente educativa quale era stato in parte concepita da alcuni suoi predecessori. È l'omogeneità della presenza in tutto il paese che ha fatto della lingua televisiva un fattore di unificazione, unitamente a un altro fatto spesso sottovalutato: l'età dell'affermazione della TV nel nostro paese ha coinciso con l'altro fenomeno unificante, le migrazioni interne. Il parlato televisivo che si afferma a partire dagli anni Sessanta converge con la lingua dei rotocalchi e dei fumetti, è povero non tanto sul terreno del vocabolario quanto su quello della sintassi: frasi brevi e costruzioni in prevalenza paratattiche, che premiano la ripetizione e il tormentone.
Il cambiamento del sistema televisivo, nel 1976-80, è sembrato in un primo tempo favorire una maggiore varietà : l'intendimento delle sentenze della Corte Costituzionale che abolivano il monopolio era in effetti promuovere lo sviluppo di una pluralità non solo di punti di vista ma anche di voci locali. In realtà la televisione locale è rimasta un fenomeno assai più marginale di quanto sia accaduto per la radio. La televisione commerciale ha assunto subito carattere nazionale con un linguaggio semmai ulteriormente semplificato: la lingua della pubblicità , spesso inventiva nelle trovate e nelle connessioni, ma centrata su messaggi univoci e mirati.