5.1 Parole e ombre

Mass media
Vittorio De Sica sul set di "L'oro di Napoli", 1954. Fonte: INDIRE, Olycom S.p.a

Nel cinema sonoro del tempo fascista l'impronta unificante era data, oltre che dal parlato enfatico e scandito del Duce, dalla perfetta pronuncia di tanti attori drammatici, e degli speaker dei cinegiornali. Ma nel cinema popolare, soprattutto in quello comico, non mancarono le inflessioni dialettali, dei napoletani fratelli De Filippo e del romano Aldo Fabrizi, della milanese Dina Galli e del torinese Macario: il nazionalismo linguistico fascista era abbastanza realistico da non ignorare la varietà degli accenti, e anche i dialetti purché controllati o edulcorati.

 

Nel dopoguerra il neorealismo prima, poi la grande fortuna del cinema popolare, vennero accompagnati dalla ricerca di un impasto sonoro il più vicino possibile all'esperienza concreta del pubblico. Se furono eccezionali i casi come La terra trema di Luchino Visconti in cui il dialetto venne proposto nella sua purezza, molto più diffuso fu l'uso di accenti locali, ma anche e soprattutto l'emergente parlato delle grandi città, a cominciare da Roma (capitale del cinema oltre che del paese), un parlato fatto oltre che delle inflessioni tradizionali dell'area laziale anche dei tanti apporti delle migrazioni interne. Fu il cinema del dopoguerra il primo laboratorio di quel nuovo italiano misto ma centrato sul romano più che sulla tradizione toscana, che la televisione avrebbe poi imposto come la koinè nazionale.

 

Anche nei decenni successivi, la grande sensibilità di autori come Pier Paolo Pasolini (a cominciare da Accattone Mamma Roma) o Luchino Visconti (Rocco e i suoi fratelli), ma anche di registi comici come Dino Risi o Mario Monicelli e di sceneggiatori come Age e Scarpelli (da I soliti ignoti a Romanzo popolare) seppe cogliere il suono e gli accenti di un paese che stava attraversando una rapidissima, per molti versi traumatica, modernizzazione anche culturale: dove il parlato radicato nei dialetti si mescolava incessantemente con quelli della burocrazia e della pubblicità e coi gerghi emergenti della cultura giovanile. Successivamente, la cinematografia di ricerca avrebbe continuato a esplorare il mutare della lingua (e il persistere delle differenze locali) col passare delle generazioni fino ai nuovi incroci con le lingue degli immigranti, mentre una parte del cinema commerciale, con le produzioni standardizzate dei film delle feste, avrebbe proposto un italiano standard più povero di quello televisivo.