Riflessione sulla lingua: il trapassato remoto

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Diamante non aveva mai raccontato di essere partito con altre persone (la solitudine costituiva l’elemento epico del suo viaggio), e perciò questa scoperta mi sorprese. Ancora più sorprendente scoprire che Diamante non sbarcò con Pasquale e Giuseppe, due cugini poco più grandi di lui che avrebbe ritrovato alle ferrovie anni dopo. Entrambi tornarono in Italia. Dalla corrispondenza di Diamante ho appreso che Giuseppe rimase disperso nel Piave nel 1917 e che la sua morte lo sconvolse. Ma nel 1903 Diamante volle dimostrare di sapersela cavare senza di loro. Quando i ventidue di Minturno furono sbarcati, scese una famiglia di libanesi. […] I passeggeri seguenti sono Diamante e una bambina di nove anni, Vita Mazzucco.

 

(da M. Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, pp. 161-62)

 

Esiste anche un tempo chiamato trapassato remoto (ebbi amato, fui andato), che si usa in genere come antecedente di un passato remoto. È tuttavia un tempo verbale poco usato nel parlato, dove è sostituito quasi sempre dal trapassato prossimo. Nell'italiano letterario compare raramente e si trova in genere in frasi temporali, nelle quali però spesso viene sostituito dal passato remoto o dall'infinito (Quando ebbe finito di parlare, se ne andò. > Quando finì di parlare, se ne andò; oppure con l’infinito: Dopo aver finito di parlare, se ne andò).

 

Adattato dalla scheda  Modi finiti