Esercizi su passato remoto, trapassato prossimo ed imperfetto

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Noi abbiamo sempre avuto qualcosa a che fare con l’acqua, diceva, e sappiamo ritrovarla dove non si vede. All’inizio – il nostro inizio – tanto tempo fa, c’era/ci fu un rabdomante: si chiamava/si chiamò Federico. Andava/andò in giro per le campagne con una verga, ascoltava/ascoltò le vibrazioni dell’aria e della terra. Dove posava/posò la verga, là, scavando, scavando, trovavi/trovasti la sorgente.

Era/fu un visionario magrissimo e altissimo […]

Poi c’era/ci fu uno spaccapietre poverissimo, orfano e vulnerabile, che amava/amò la terra perché avrebbe voluto possederla e odiava/odiò l’acqua, perciò anche il mare. L’uomo delle pietre attraversava/attraversò due volte l’oceano sognando di riprendersi la terra che perdeva/aveva perso, ma le pietre vanno a fondo e due volte lo rispedivano/rispedirono a casa […] Un giorno di primavera del 1903 il quarto figlio dell’uomo delle pietre, un ragazzino di dodici anni piccolo, furbo e curioso, arrivava/arrivò al porto di Napoli e saliva/salì su una nave che apparteneva/appartenne alla flotta della White Star Line – inalberava/inalberò una bandiera rossa e aveva/ebbe come simbolo una stella candida, la stella polare. Suo padre gli affidava/aveva affidato il compito di realizzare la vita che lui non poteva vivere/aveva potuto vivere. Era/era stato un fardello pesante, ma il ragazzino non lo sapeva/aveva saputo. S’arrampicò/si arrampicava sule tavole scivolose di salsedine che salivano/salirono sui ponti di passeggiata. Era/fu contento e dimenticava /aveva dimenticato di ricordarsi di aver paura. Il ragazzino si chiamava/si chiamò Diamante.

Non era partito/partì da solo. Con lui c’era/ci fu una bambina di nove anni, con una grande massa di capelli scuri e due occhi profondi, cerchiati di nero. Si chiamava/si chiamò Vita.

 

(da M. Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, pp. 11-12)