Sintassi

    Storia linguistica d'Italia
    Sandro Botticelli (scuola), "Ritratto di Dante Alighieri"

    Dal punto di vista sintattico, sono molte le differenze tra italiano antico e italiano moderno per quanto riguarda l’ordine delle parole, l’uso degli articoli e dei pronomi, le congiunzioni, le reggenze e gli accordi verbali; al riguardo, va segnalato che, se un soggetto plurale che si caratterizza testualmente come “nuovo” segue il verbo, questo può rimanere al singolare (Brambilla Ageno 1964; un esempio dal Convivio dantesco, 4.19.5: «riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi»).

     

    Le particolarità più rilevanti riguardano i pronomi atoni (o clitici) e la loro posizione all’interno della frase. Nell’italiano antico vige infatti la cosiddetta “legge Tobler-Mussafia” (dal nome dei due studiosi che la individuarono per primi), che prevede che i clitici non possano trovarsi all’inizio di periodo, dopo le congiunzioni e e ma e all’inizio di una frase principale posposta alla subordinata: la legge è rispettata anche nella Commedia, dove abbiamo, per es.: «Rispuosemi: “Non omo, omo già fui”» (If I 67); «vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole» (If III 95-96); «Però che ciascun meco si convene / nel nome che sonò la voce sola, / fannomi onore» (If IV 91-92); «Se tu riguardi ben questa sentenza / e rechiti a la mente chi son quelli» (If XI, 85-86); «come fa l’uom che non s’affigge / ma vassi a la via sua» (Pg XXV, 4-5). Non mancano però eccezioni, specie negli ultimi tre casi, né in Dante né in altri testi coevi. La regola vale anche per l’imperativo, dove oggi l’enclisi si è generalizzata, mentre in italiano antico era possibile la proclisi («O muse, o alto ingegno, or m’aiutate»; If II 7).

     

    Un altro tratto caratterizzante relativo ai clitici è l’ordinamento in caso di sequenza di due pronomi atoni: in Dante, come del resto nel fiorentino duecentesco (le cose cambiano nel corso del Trecento e il Decameron con le sue oscillazioni già ci mostra la novità), il pronome «con funzione di accusativo è sempre preposto a quello con funzione di dativo» (Manni 2003: 167). Abbiamo quindi non la sequenza me lo, ma lo mi («lo mi vieta»; If. XIX 100) o il mi («il mi consento»; If XXV, 48). La stessa cosa, ovviamente, vale per i pronomi delle altre persone.

     

    Infine, bisogna segnalare che in italiano antico, come avveniva in latino, in frasi coordinate o in risposte a frasi interrogative era possibile omettere l’oggetto pronominale, se coincidente con quello della frase precedente: «ciascuno prese un poco di terra e si mise in bocca» (Giovanni Villani; oggi si direbbe ‘se la mise in bocca’); «or non avesti la torta? Messer sì: ebbi (‘la ebbi’)» (Novellino). Anche il lo anaforico di un aggettivo anticamente non veniva di solito espresso. Importante il fatto che in italiano antico l’espressione del pronome soggetto prima del verbo era molto più frequente di oggi (Palermo 1997), specie nella frase interrogativa (Patota 1990).

     

    Tra le particolarità relative agli articoli, va segnalata la loro frequente omissione prima dei possessivi anteposti al sostantivo (mio nome), dopo tutto (tutta notte) e davanti a quale relativo («faccia il cammino alcun per qual io vado»; If IX 21); invece si ha la preposizione articolata per il complemento di materia (la corona dell’oro).

     

    Per quanto riguarda la frase relativa, l’italiano antico ammette anche costrutti che successivamente sarebbero stati censurati dalla norma, come il che “polivalente”, usato al posto di prep. + cui (per es. con valore partitivo o quando la preposizione reggeva l’antecedente del relativo), anche con ripresa pronominale (D’Achille 1990). Ma cui può anche fungere da oggetto diretto (con riferimento a un antecedente caratterizzato dal tratto [+ umano] e a sua volta il che può essere preceduto da preposizione (in che, per che, ecc.). Come nell’italiano moderno, al posto di ‘in cui’, ‘nel/nella quale’ con valore locativo si può trovare anche dove (o ove); analogamente anche onde poteva fungere quasi da pronome relativo col valore di ‘da cui’, ‘di cui’.

     

    Un ulteriore tratto sintattico proprio dell’italiano antico e che l’italiano posteriore non ha accolto è la cosiddetta “paraipotassi”. Quando la subordinata, esplicita o implicita, precedeva la principale, questa poteva essere introdotta da e o da sì, come nel seguente esempio dantesco: «S’i dissi falso, e tu falsasti il conio» (If XXX 115).