Il "Sidereus Nuncius": l'avviso al mondo delle grandi scoperte astrali

    Letteratura e teatro

    Nel 1609 Galileo, prendendo spunto dagli esemplari di cannocchiale provenienti dall’Olanda, fa costruire il primo telescopio. Nell’inverno del 1609 trascorre la maggior parte delle notti a puntare il cannocchiale verso il cielo. Scopre così che la superficie della Luna non è diversa da quella della Terra, il numero delle stelle è infinito, e Giove ha dei satelliti che gli ruotano intorno creando un sistema che, in piccolo, è identico a quello solare e che quindi contribuisce ad abbattere la teoria aristotelico-tolemaica. Mentre di notte lavora, di giorno trascrive le proprie scoperte componendo il Sidereus Nuncius (“Annunzio sidereo” o “Nunzio delle stelle” o, potremmo oggi dire, “Relazione sulle stelle”): si tratta di un rendiconto scientifico che comunicava ai dotti di tutto il mondo (di qui l’uso del latino) le nuove scoperte. L’opera è dedicata a Cosimo II de’ Medici. Il Sidereus Nuncius ha grande fortuna, rivoluzionando l’immaginario dell’uomo secentesco e segnando una svolta importante. L’uomo cessava di essere il centro del mondo e l’universo non era delimitato dalle Stelle Fisse, ma infinito e popolato da infiniti mondi. Nel brano di esordio Galileo oltre a presentare il contenuto della sua opera, contenente «novità non mai udite per tutti i secoli andati», sottolinea «di aver trovato e scoperto quattro nuove stelle erranti»: il riferimento è ai quattro satelliti di Giove (Io, Callisto, Europa e Ganimede), detti ancora oggi «medicei» per la già ricordata dedica a Cosimo II.

     

    Grandi veramente sono le cose che in questo piccolo trattato propongo da vedersi, contemplarsi da i Naturali Speculativi. Grandi io dico, sì per l’eccellenza della materia, sì per le novità non mai udite per tutti i secoli andati, sì ancora per l’instrumento col quale al senso nostro quelle manifestate si sono.

     

    Gran cosa è certo l’aggiungere sopra il numero delle fisse che fin a questa presente età si son potute scorgere dalla naturale facultà visiva, altre quasi innumerabili stelle non più vedute, esponendole apertamente alla vista in numero sopra dieci volte maggiore delle particolarmente osservate e conosciute fin ora.

     

    Bellissima et oltre modo dilettevol cosa è il vedere il corpo lunare (da noi remoto per quasi 60 semidiametri della terra) avvicinarselo talmente come se ci fusse non più lontano che due sole di dette misure, onde il suo diametro apparisca circa trenta volte maggiore, la superficie quasi novanta, et la solidità ventisette mila volte prossimamente accresciuta sopra quella che dall’occhio libero naturalmente si scorge, dal che poi con sensata certezza sappia ciascuno non esser la Luna altrimenti di superficie liscia e pulita, ma rozza et ineguale, et aguisa della superficie terrestre circondata intorno di grandi prominenze, e profonde valli o lagune. [...]

     

    Ma quel che eccede di gran lunga ogni nostra immaginazione, e che principalmente mi ha spinto a dovere avvisarne ogni astronomo e filosofo, è l’haver io trovato e scoperto quattro nove stelle erranti non conosciute et osservate da alcun altro avanti di me, le quali intorno ad una tal principale stella delle già cognite, a guisa di Venere o di Mercurio intorno al Sole trovo che hanno i lor periodi certi, ora essendogli avanti, ora seguendolo, senza però digredir mai da quella fuori de loro stabili e determinati sentieri. Le quali cose tutte sono state da me primo osservate già sono pochi mesi trascorsi per mezzo di un nuovo Occhiale da me inventato con la divina grazia illuminantemi.

     

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