1. Forme
I pronomi personali indicano la persona che parla, a cui si parla o di cui si parla. La prima e la seconda persona non possono indicare che esseri umani che parlano e rispondono (a prescindere dagli usi immaginari); la terza persona può indicare qualsiasi essere o cosa, ma per molte forme ci sono differenze secondo che si riferiscano a persone, animali o cose.
Inoltre, i pronomi hanno forme diverse secondo che svolgano funzioni di soggetto, nel qual caso si hanno le forme rette, o un’altra qualsiasi funzione, nel qual caso le forme si chiamano oblique (o forme complemento).
Tra le forme oblique bisogna poi distinguere tra la forma tonica (cosiddetta «forte») e quella à tona (cosiddetta «debole»).
Le forme toniche, dotate di un proprio accento, si usano quando nella frase si deve dare risalto all’elemento indicato dal pronome, come oggetto diretto o se precedute da preposizione.
Le forme atone (cioè prive di accento fonico) si appoggiano sempre al verbo o all’unità verbale composita e, perciò, vengono dette più propriamente clitiche. Possono precedere il verbo e allora sono dette proclitiche (Ti chiamo; Mi puoi aiutare; Glielo voglio dire; La sta fissando); oppure possono seguirlo e allora sono dette enclitiche (Puoi aiutarmi; Glielo voglio dire; Sta fissandola). Le enclitiche si legano sempre al verbo semplice all’imperativo, all’infinito, al participio, al gerundio (Rispondimi!; Rivederla ancora una volta!; La lettera pervenutaci ieri; Dicendomi;), nonché all’avverbio ecco (eccoti, eccoli).
Le forme atone si usano solo per l’oggetto diretto e l’indiretto di termine.
Forme toniche
Il professore ha interrogato me
Carla ha telefonato a te
Venite a cena da noi
Ha parlato di te
Forme atone
Il professore mi ha interrogato
Carla ti ha telefonato
Presentiamo nello schema seguente i pronomi personali dell’italiano (forme toniche e atone).
Le forme atone mi, ti, ci, vi, si diventano me, te, glie- (legato a quel che segue), ce, ve, se quando sono seguite da un altro pronome iniziante con l- o da ne: me lo prendo, ce la farò, gliene parlo.
I pronomi atoni ci e vi hanno anche valore locativo: ci vado, vi sono ecc. Il pronome atono ci ha anche funzione di dimostrativo (“di ciò”, “a ciò”, “con ciò”, “su ciò”): Non ci pensare; Ci ho riflettuto; Che ci faccio?
Il pronome atono ne ha valore partitivo (Vorrei una fetta di torta → Ne vorrei una fetta); e dimostrativo (Riparleremo di ciò / di questo → Ne riparleremo).
Il pronome atono ne, nella lingua letteraria (poetica e del melodramma), valeva anche per ci “a noi”: se divisi fummo in terra, ne congiunga il Nume in ciel (Salvatore Cammarano, Lucia di Lammermoor). Si ricorderà poi l’espressione Dio ne scampi e liberi!, dove il ne, equivalente a ci, ha la funzione di oggetto diretto.
L’uso dei pronomi personali di 3a persona singolare e plurale pone vari problemi, che qui riassumiamo.
2. Egli / lui; ella / lei; essi, esse / loro come forme soggetto
Le forme lui, lei, loro si usano normalmente come soggetto quando il soggetto viene in qualsiasi modo messo in rilievo, e cioè:
- quando dobbiamo distinguere tra una persona e un’altra. Ad esempio: se sto parlando di due persone, Luigi e Maria, e devo dire che l’uno è d’accordo su una certa questione, mentre l’altra no, devo dire lui è d’accordo, lei no (non si può dire egli è d’accordo, ella no). In questo caso il soggetto ha una vera e propria funzione di «tema»: infatti, la frase che abbiamo citato significa Per quanto riguarda lui, è d’accordo; per quanto riguarda lei, non è d’accordo; nelle frasi interrogative il soggetto ha sempre funzione di tema: lui è d’accordo?; lei è partita?; loro ci sono?;
- in tutti i casi in cui dobbiamo insistere in modo specifico su una persona, per dire che «anche, proprio, perfino, soltanto, nemmeno, neanche quella persona» fa o pensa o è qualcosa: Anche lui è di quel parere; Anche loro erano presenti; Proprio lui me l’ha detto; Proprio lei mi ha chiamato; Lui stesso venne a dirmelo; Perfino lei rifiutò la proposta; Soltanto lui poteva dire una cosa simile; Neppure lui sapeva che fare; Nemmeno loro potranno farci niente; Loro stessi ne erano consapevoli;
- quando il soggetto è posposto al verbo e perciò stesso è in enfasi. Partirà lui (cioè quella persona e non un’altra); Arrivano loro; È lei che va dicendo queste cose. In questo caso rientrano pienamente altri casi particolari: dopo ecco (Ecco lui), con i gerundi e i participi (Essendoci lui, non si potè fare più nulla; Arrivato lui, si fece silenzio), dopo aggettivi (Contento lui, contenti tutti, che equivale a Se è contento lui,...), dopo come e quanto (Nessuno è bravo come lui, cioè come lo è lui) e nel predicato nominale (Se io fossi lui, non direi queste cose).
Anche me e te si usano, invece di io e tu, in alcuni di questi casi particolari: Se tu fossi me; Nessuno è bravo come te. (Costruzioni come Me non ci vado, te ci vai? sono invece colloquiali e regionali: toscano-romane e settentrionali).
Al di fuori di questi tre casi si usano egli, ella, essi, esse, ma solo se, per ragioni di chiarezza, è necessario ripetere il soggetto. Va tenuto presente che nella comunicazione parlata si fa più facilmente a meno del pronome puramente ripetitivo («anafòrico»): si preferisce ripetere il nome o si generalizza l’uso di lui, lei, loro. In particolare, ella si può dire quasi scomparso dall’uso, a favore di lei. (La maniera più comune di usare o non usare i pronomi soggetto è quella che si documenta già nei Promessi Sposi di Manzoni.
Ricordiamo, infine, che il pronome personale femminile di 3a persona lei (oggetto diretto: la; oggetto indiretto: le) è adoperato come allocutivo di cortesia nell’italiano standard: Professore, la vedo stanco. Lei dovrebbe riposarsi. Nell’italiano regionale meridionale è vitale il voi.
3. Gli, le e loro oggetti indiretti
Tra le forme deboli del singolare la funzione di oggetto indiretto è svolta normalmente da gli per il maschile (‘a lui’) e le per il femminile (‘a lei’): Gli ho detto di aspettare; Dovevo parlarle. Tuttavia, è abbastanza diffuso, nell’italiano parlato, l’uso di gli anche per il femminile, favorito dal fatto che quando si aggiunge un secondo pronome atono, la forma è unificata: Glielo dirò può significare tanto ‘lo dirò a lui’ quanto ‘lo dirò a lei’. Nell’italiano formale, anche parlato, va rispettata la distinzione tra gli e le.
Per il plurale la regola proposta tradizionalmente dalle grammatiche è quella di usare sempre la forma forte loro; è però antichissimo l’uso di gli (che risale al dativo latino illis ‘ad essi, ad esse’). Con l’uso di loro si assicura la distinzione col singolare; ma loro, come forma forte non si colloca bene dove occorre una forma debole: ad esempio, alla domanda Hai scritto ai tuoi cugini? rispondere No, telefonerò loro oppure Avevo pensato di telefonare loro, non di scrivere loro è sforzato e poco chiaro, mentre funzionano meglio le risposte No, gli telefonerò oppure Avevo pensato di telefonargli, non di scrivergli, risultando dal contesto che gli è riferito a un plurale. In conclusione: nel parlato spontaneo e nello scritto di tipo narrativo l’uso di gli anche per il plurale è più scorrevole e chiaro; nel parlato e nello scritto formale si richiede loro o, quando questa forma risulta pesante, si preferisce ripetere i nomi.