"I Promessi Sposi": l'Innominato

Letteratura e teatro

Non è certo chi sia veramente il personaggio storico a cui Manzoni si è ispirato per la figura dell'Innominato. Secondo alcuni si tratta di un brigante vissuto fra il 1500 e il 1600 a Bagnolo Cremasco, che dopo aver commesso atroci misfatti, lasciò molti dei suoi beni alla Chiesa. Altri invece chiamano in causa Bernardino Visconti, feudatario di Brignano Gera d'Adda, in provincia di Bergamo, che, dopo aver commesso molti crimini, nel 1615, a seguito di un incontro con il cardinale Federico Borromeo in visita pastorale nella zona di Lecce, si era ravveduto e convertito.

 

L'Innominato fa la sua comparsa nel romanzo al capitolo XX quando Don Rodrigo si reca al suo castello per coinvolgerlo nel rapimento di Lucia. Come nel caso della monaca di Monza  l'aspetto fisico del personaggio è un riflesso del suo mondo interiore. Manzoni lo descrive con tratti essenziali, utilizzando periodi spezzati, sottolineando anche a livello stilistico la forza e la determinazione di un uomo che porta in sé, ugualmente grandi, il bene e il male:

 

Arrivato al castello, e introdotto (lasciando però il Griso alla porta), (Don Rodrigo n.d.r) fu fatto passare per un andirivieni di corridoi bui, e per varie sale tappezzate di moschetti, di sciabole e di partigiane, e in ognuna delle quali c’era di guardia qualche bravo; e, dopo avere alquanto aspettato, fu ammesso in quella dove si trovava l’Innominato.

 

Questo gli andò incontro, rendendogli il saluto, e insieme guardandogli le mani e il viso, come faceva per abitudine, e ormai quasi involontariamente, a chiunque venisse da lui, per quanto fosse de’ più vecchi e provati amici. Era grande, bruno, calvo; bianchi i pochi capelli che gli rimanevano; rugosa la faccia: a prima vista, gli si sarebbe dato più de’ sessant’anni che aveva; ma il contegno, le mosse, la durezza risentita de’ lineamenti, il lampeggiar sinistro, ma vivo degli occhi, indicavano una forza di corpo e di animo, che sarebbe stata straordinaria in un giovine.

 

I misfatti dell'Innominato, che nella prima edizione del Fermo e Lucia sono narrati in modo dettagliato ed esplicito, nell'edizione definitiva sono solamente accennati: anche in questo caso, come per la storia di Gertrude, Manzoni utilizza la reticenza, una modalità di scrittura che consiste nell'interrompere improvvisamente un discorso lasciando al lettore il compito di immaginare nei dettagli l'accaduto o di intuire la conclusione della vicenda. Ecco come si esprime l'Innominato durante il drammatico colloquio col cardinale Borromeo (cap.XXII):

 

io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure...! eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!

 

 o quando, dopo la conversione, parla ai suoi uomini per comunicare la sua decisione di cambiare vita (cap. XXIV):

 

La strada per la quale siamo andati finora, conduce al fondo dell'inferno... io che sono avanti a tutti, il peggiore di tutti... levo a ognuno di voi gli ordini scellerati che avete da me; voi m'intendete...

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