Piemonte: testi

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    da N. Revelli, Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina, Torino, Einaudi, 1977, p 72 (testimonianza di Michele Giuseppe Luchese, nato a Roccasparvera, classe 1885, contadino, raccolta il 1° maggio 1970)

     

    Si faceva come si poteva, patate, meliga, castagne, ci adattavamo alla miseria. Intendiamoci poi bene – a me fa mica niente che c'è la donna che ascolta – ora il pane lo fanno per condimento non per nutrimento, invece quel tempo là si bagnava solo il boccone della polenta sopra la buntà e si mangiava o buono o cattivo che fosse, «basta che sia pieno» come diceva giuanin Dragunat. La buntà era un po' di latte e un po' di toma di latte scremato, ma il più buono era l'appetito ecco, mi capisce?

     

    Giacu 'd Cicu allora aveva una mula e faceva anche un po' il carrettiere, lui ne aveva anche dei suoi (figli), tutte le primavere partiva con la mula e il carro con le sponde, otto o dieci vacherot sopra e avanti, partivano e andavano a Barcellona [Barcellonnette, oltre il Colle della Maddalena, nella Valle dell'Ubaye] in Francia, là facevano il mercato, chi ne aveva bisogno si presentava e chi aveva bisogno di lavoro era lì, si contrattava. Partivano alla primavera e all'autunno tornavano in qua.

     

    Chi non andava in Francia non era mica gente, oh per carità, chi non andava in Francia non era pregiato. 'Ndasìu ram e reis [ci andavano rami e ramaglie], uomini e donne e bambini.

     

    da C. Pavese, La luna e i falò, Torino, Einaudi, 1968, p. 91

     

    Poi veniva la stagione che inmezzo alle albere di Belbo e sui pianori dei bricchi rintronavano fucilate già di buon'ora e Cirino cominciava a dire che aveva visto la lepre scappare in un solco. Sono i giorni più belli dell'anno. Vendemmiare, sfogliare, torchiare non sono neanche lavori; caldo non fa più, freddo non ancora; c'è qualche nuvola chiara, si mangia il coniglio con la polenta e si va per funghi.

     

    Noialtri andavamo per funghi là intorno; Irene e Silvia combinarono con le loro amiche di Canelli e i giovanotti di andarci in biroccino fino a Agliano. Partirono una mattina che sui prati c'era ancora la nebbia; gli attaccai io il cavallo, dovevano trovarsi con gli altri sulla piazza di Canelli. Prese la frusta il figlio del medico della Stazione, quello che al tirassegno faceva sempre centro e giocava alle carte dalla sera al mattino. Quel giorno venne un grosso temporale, lampi e fulmini come d'agosto. Cirino e la Serafina dicevano ch'era meglio la grandine adesso sui funghi e su chi li cercava che non sul raccolto quindici giorni prima. Non smise di piovere a diluvio neanche nella notte. Il sor Matteo venne a svegliarci con la lanterna e il mantello sulla faccia, ci disse di stare attenti se sentivamo il biroccio arrivare, non era tranquillo. Le finestre di sopra erano accese; l'Emilia corse su e giù a fare il caffè; la piccola strillava perché non l'avevano portata a funghi anche lei.

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