Orlando, protagonista del Furioso, compare per la prima volta nel canto VIII.
È notte, il paladino non riesce a dormire e comunica al letto (noiose piume) i pensieri che lo tormentano: non ha più notizie di Angelica (la smarrita agnella) da quando Carlo Magno è stato sconfitto a Bordeaux (Bordella), si rimprovera di aver permesso che fosse affidata al duca Namo di Baviera e la immagina sperduta, indifesa e bisognosa del suo aiuto (Deh, dove senza me, dolce mia vita, /rimasta sei sì giovane e sì bella?).
Quando sfinito si addormenta, fa un sogno che appare come un triste presagio: gli sembra di trovarsi insieme ad Angelica in un luogo bellissimo (s’una verde riva/ d’odoriferi fior tutta dipinta) ma improvvisamente si scatena una tempesta che struggea i fiori, et abbattea le piante e mentre cerca riparo, smarrisce la fanciulla; disperato, la cerca invano, finché non sente una voce che ammonisce: Non sperar più gioirne in terra mai. Terrorizzato, Orlando si sveglia in lacrime e senza esitare indossa un’armatura, balza in groppa al suo cavallo e parte alla ricerca di Angelica.
Nella sua ricerca di Angelica Orlando, dopo numerose avventure, si scontra a duello con Mandricardo, re di Tartaria, ma durante il combattimento il cavallo, imbizzarrito, si dà alla fuga portando in sella il saraceno. Il paladino lo sta inseguendo da due giorni, quando giunge ad un limpido ruscello (un rivo che parea cristallo) con le sponde verdi coperte di fiori e di alberi. Orlando entra nel bosco per riposare e mentre si guarda intorno vede ovunque, incisi sugli alberi i nomi di Angelica e Medoro intrecciati nei modi più diversi (con cento nodi/ legati insieme, e in cento lochi vede).
Disperato, il paladino cerca di negare l’evidenza: Angelica ha inventato il nome Medoro e lo ha usato al posto di Orlando, il vero destinatario di quelle parole d’amore. Ma il rio sospetto che Angelica lo abbia tradito divampa inesorabilmente: l’infelice (il mesto conte) è simile a un uccello caduto incautamente nella rete che quanto più si dibatte più s’impiglia e si fa prigioniero. Giunge infine in una grotta adorna d’edera e viti; sulle pareti Medoro ha inciso in arabo queste parole: la bella Angelica, da molti invano amata,/spesso ne le mie braccia nuda giacque; Orlando purtroppo conosce bene l’arabo e il dolore che prova è così grande da impedirgli perfino di piangere . Per trovare conforto tenta di ingannarsi ancora una volta: qualcuno ha scritto quelle frasi per gettare infamia sulla sua amata, non è lei l’Angelica di cui si parla! E, sempre più disperato, continua a vagare senza meta (Canto XXIII, 110-114).
Nel suo vagabondare il conte giunge a un villaggio. Sta calando la notte : sfinito, trova ospitalità in una casa di pastori. Ma proprio in quella casa erano stati anche Angelica e Medoro: le pareti sono coperte di frasi d’amore (l’odiato scritto) e il pastore, vedendo Orlando triste, per sollevarlo gli racconta la storia d’Angelica bella divenuta sposa felice del povero fante che lei aveva raccolto ferito e curato proprio in quel letto; per ricompensa dell’ospitalità ricevuta, la fanciulla gli aveva regalato una gemma. Quando il pastore mostra a Orlando il prezioso dono, la verità si abbatte come una scure sul paladino: è la gemma che lui stesso aveva dato ad Angelica come pegno d’amore! Sconvolto dalla rivelazione, il conte impazzisce e comincia a distruggere tutto ciò che trova sul suo cammino (Canto XIII, 114-136).