Matelda

    […] e là m’apparve, sì com’elli appare

    subitamente cosa che disvia
    per maraviglia tutto altro pensare,

     


    una donna soletta che si gia
    e cantando e scegliendo fior da fiore
    ond’era pinta tutta la sua via.

     

    "Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore
    ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti
    che soglion esser testimon del core,

     


    vegnati in voglia di trarreti avanti",
    diss’io a lei, "verso questa rivera,
    tanto ch’io possa intender che tu canti.

     


    Tu mi fai rimembrar dove e qual era
    Proserpina nel tempo che perdette
    la madre lei, ed ella primavera".

     


    Come si volge, con le piante strette
    a terra e intra sé, donna che balli,
    e piede innanzi piede a pena mette,

     


    volsesi in su i vermigli e in su i gialli
    fioretti verso me, non altrimenti
    che vergine che li occhi onesti avvalli;


     

    e fece i prieghi miei esser contenti,
    sì appressando sé, che ’l dolce suono
    veniva a me co’ suoi intendimenti.


     

    Tosto che fu là dove l’erbe sono
    bagnate già da l’onde del bel fiume,
    di levar li occhi suoi mi fece dono.


     

    Non credo che splendesse tanto lume
    sotto le ciglia a Venere, trafitta
    dal figlio fuor di tutto suo costume.

     


    Ella ridea da l’altra riva dritta,
    trattando più color con le sue mani,

    che l’alta terra sanza seme gitta.

     

    [Purgatorio, canto XXVIII, 36-69]

     

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