La lettera a Giacinto Carena

    O finalmente sono vocaboli fiorentini diventati più o meno comuni a tutta l'Italia, e questi soli sono, non meri fatti d'unità, ma fatti iniziali d'un'intera unità; sono una parte già acquistata d'un tutto, la vanguardia, dirò così, d'un esercito già formato. Sono vocaboli venuti o presi da un luogo dove c'è una lingua da potersi e diffondere e prendere; con de' mezzi diversi bensì, ma concordi, perché diretti da un solo principio, e a un solo e generale intento. E dico una lingua fatta: non fatta insieme e da farsi, come la vostra. Contradizione, del resto comune a tutti i sistemi che propongono per lingua italiana tante cose diverse, e nessuna che abbia la vera e unica cagione efficiente delle lingue. Ciascheduno vuol provare che la sua lingua c'è; quando poi si tratta di trovarla per servirsene, ciascheduno insegna una maniera, anzi più maniere di comporla. Promettono una lingua esistente, e danno una lingua possibile, cioè possibile secondo loro; giacché com’è possibile una lingua, senza una società che l'adopri a tutti gli usi della vita, vale a dire una società che la parli? 

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