Leopardi rimane ai margini del programma culturale e politico che impegnava gli intellettuali del suo tempo: in Lombardia scrittori come Alessandro Manzoni e il gruppo legato al periodico Il Conciliatore, in Toscana Pietro Vieusseux e quanti collaboravano all’Antologia, il giornale da lui fondato. Non si schiera con i moderati, critica l’idea di progresso dei liberali, non è interessato a rivendicazioni di carattere sociale.
I motivi del suo isolamento sono dovuti all’ambiente di provincia in cui è nato, alla formazione culturale ricevuta in famiglia e alla condizione sociale, alla salute malferma che gli crea difficoltà a stabilire relazioni sociali e a rendersi indipendente; ma sono anche frutto di una scelta consapevole e coerente, nata dalla lunga e profonda riflessione intorno alle ragioni dell’infelicità umana.
Le conclusioni a cui giunge lo portano a elaborare quello che Sebastiano Timpanaro chiama pessimismo agonistico, una filosofia molto particolare in cui la consapevolezza che l’uomo non ha scampo al dolore va di pari passo con l’appello alla fraternità e alla solidarietà rivolto a tutti i viventi, senza alcuna distinzione sociale e di classe.