Scritta da Leopardi nel 1836 a Torre del Greco durante il soggiorno a Villa Ferrigni, è considerata il suo testamento poetico, un appello[1] rivolto a tutti gli uomini perché siano solidali nella lotta contro la natura. Riportiamo alcuni passi della poesia:
Qui su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti (vv. 1-7)
Leopardi si rivolge alla ginestra descrivendola come un fiore profumato (odorata) che cresce sereno sulle pendici del Vesuvio, un monte pericoloso e tremendo (formidabil) dove nessun’altra pianta accetta di vivere:
Nobil natura è quella
che a sollevar s’ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire
fraterne, ancor più gravi
d’ogni altro danno, accresce
alle miserie sue, l’uomo incolpando
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
che veramente è rea, che de’ mortali
madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l’umana compagnia,
tutti fra sé confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune. (vv. 111-135)
La ginestra è il simbolo dell’uomo che, secondo Leopardi, ha nobil natura.
La nobiltà non ha motivazioni sociali, ma si fonda su caratteristiche dell’animo e del pensiero. L’uomo nobile con coraggio guarda in faccia la realtà della vita (a sollevar s'ardisce / gli occhi mortali) e in modo chiaro (con franca lingua), senza mentire (nulla al ver detraendo) dichiara (confessa) che gli esseri umani sono fragili creature (basso stato e frale) a cui la sorte ha assegnato dolore e sofferenza (il mal che ci fu dato in sorte). È la natura matrigna la vera colpevole di tanto soffrir e la società umana (umana compagnia) fin dalle origini si è organizzata per difendersi da lei (ordinata in pria); per questo l'uomo nobile, invece di accrescere le miserie sue con odii e ire fraterne attribuendo ai suoi simili colpe che sono solo della natura (veramente rea), li considera alleati (confederati) e si unisce a loro con vero amor, disponibile a dare e a ricevere un aiuto (aita) valido e pronto nella guerra comune contro la comune inimica:
E tu, lenta ginestra,
che di selve odorate
queste campagne dispogliate adorni,
anche tu presto alla crudel possanza
soccomberai del sotterraneo foco,
che ritornando al loco
già noto, stenderà l’avaro lembo
su tue molli foreste. E piegherai
sotto il fascio mortal non renitente
il tuo capo innocente:
ma non piegato insino allora indarno
codardamente supplicando innanzi
al futuro oppressor; ma non eretto
con forsennato orgoglio inver le stelle,
né sul deserto, dove
e la sede e i natali
non per voler ma per fortuna avesti;
ma più saggia, ma tanto
meno inferma dell’uom, quanto le frali
tue stirpi non credesti
o dal fato o da te fatte immortali. (vv. 297-317)
Gli esseri umani – afferma il poeta – nonostante le straordinarie conquiste dovute al progresso (le magnifiche sorti e progressive), sono sempre usciti sconfitti dall’eterna lotta contro la natura, ma l’uomo nobile può, come la flessibile (lenta[2]) e saggia ginestra, accettare di soccombere al fuoco del vulcano in modo dignitoso. Leopardi conclude il suo canto rivolgendosi con rispetto e ammirazione al fiore gentile che, consapevole di non essere immortale, piega il capo innocente senza chiedere codardamente pietà e senza opporre una resistenza folle e violenta (forsennato orgoglio). La ginestra è il simbolo della forza e della saggezza che possono sostenere e arricchire gli uomini quando accettano la verità senza farsi illusioni.
[1]Così il critico letterario Sebastiano Timpanaro definisce questo canto. S. Timpanaro, Alcune osservazioni sul pensiero di Leopardi, in Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano, Pisa, Nistri-Lischi, 1965.
[2]È un latinismo, cioè una parola (lentus) latina entrata a far parte dell'italiano.