Fra il 1514 e il 1515 Machiavelli, allontanato da Firenze, vive un periodo difficile di solitudine e isolamento; non a caso quindi inizia questa riflessione sulla lingua esprimendo amore e devozione per la sua città (Sempre ch’io ho potuto onorare la patria, eziando con mio carico e pericolo, l’ho fatto volentieri)e afferma che chiunque tratti da nemico la sua patria con l’animo o con l’opera, anche se trattato ingiustamente, meritatamente si può chiamare parricida. La polemica con Dante sul piano linguistico si intreccia quindi con la critica alle feroci accuse rivolte dal grande poeta contro Firenze, che pure l’aveva offeso con l’ingiuria dell’exilio. E per parlare un poco con lui, Machiavelli abbandona il tono impersonale e inizia un autentico dialogo con Dante, evocato come un personaggio sulla scena.
Il dialogo ha come oggetto l’aspra critica fatta da Dante ai dialetti toscani (compreso quello di Firenze) nel I libro del De Vulgari eloquentia. Lo scambio di idee fra Machiavelli e Dante “ha i caratteri di un vero colloquio fra persone vive, di un’animata schermaglia di commedia”[1]:
Niccolò: Perché di' dunque di non parlare fiorentino? Ma io ti voglio convincere co i libri in mano e con il riscontro; e però leggiamo questa tua opera, e il Morgante[2]. Leggi su.
Dante: « Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva scura
che la dritta via era smarrita ».
Niccolò: E' basta. Leggi un poco ora il Morgante.
Dante: Dove?
Niccolò: Dove tu vuoi. Leggi costà a caso.
Dante: Ecco,
« Non chi comincia ha meritato, è scritto
nel tuo santo Vangel, benigno Padre ».
Niccolò: Or ben, che differenza è da quella tua lingua a questa?
Dante: Poca.
Niccolò: Non mi ce ne pare veruna.
Dante: Qui è pur non so che.
Niccolò: Che cosa?
Dante: Quel chi è troppo fiorentino.
Niccolò: Tu farai a ridirti: o non di' tu:
« Io non so chi tu sia, né per qual modo
venuto sei quaggiú, ma fiorentino etc. » ?
Dante: Egl'è il vero, e ho il torto.
Niccolò: Dante mio, io voglio che tu t'emendi, e che tu consideri meglio il parlare fiorentino e la tua opera; e vedrai che, se alcuno s'harà da vergognare, sarà piú tosto Firenze che tu…
[1] Luigi Blasucci, Le opere letterarie di Machiavelli, in Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Storia della Letteratura italiana, vol IV, Il Cinquecento, Milano, Garzanti, 1966
[2] Morgante è l’opera più famosa del poeta fiorentino Luigi Pulci (1432 – 1484). Narra la storia di un gigante che diventa cristiano e si mette al seguito del paladino Orlando