Il "Decameron" e la nuova società dei mercanti

    Letteratura e teatro

    La società mercantile, isolata ancora nell’opera di Dante in un cerchio di aristocratico disprezzo, ignorata come inferiore o estranea dalla raffinata esperienza di Petrarca, irrompe nella commedia umana[1] del Decameron e la domina con la sua esuberante vitalità. La rappresentazione della misura che l’uomo dà delle sue doti e delle sue capacità al confronto delle grandi forze che sembrano dominare l’umanità (Fortuna, Amore, Ingegno), non poteva trovare in quella età esempi di più potente eloquenza rappresentativa. Dopo le dorate sequenze dei cavalieri con la spada, è proprio il mondo dei nostri mercanti che, fra il Duecento e il Trecento, offre i campioni più vivi e aggressivi nell’agone con quelle forze sovrumane, quella gente che correva il mondo sempre in lotta con gli agguati della Fortuna, sempre pronta a provare la sua elegante sveltezza umana nelle più diverse avventure d’amore, sempre protesa a vincere col proprio ingegno le iniziative e le insidie dell’ingegno altrui.

     

    Come mercanti in proprio e soprattutto come agenti di una delle più potenti compagnie, quella dei Bardi, il padre e gli zii di Boccaccio avevano percorso per più di quaranta anni le grandi vie del traffico europeo, tra Firenze, Napoli, Parigi e le grandi fiere francesi: e il Boccaccio, ancora nelle sue opere latine, rievoca commosso i racconti che il padre gli aveva fatto di quelle sue esperienze avventurose e spesso paurose. Egli stesso, divenuto fin da ragazzo contabile, aveva visto aprirsi la sua giovinezza a Napoli nell’ombra del banco dei Bardi, accanto al fondaco dei Frescobaldi, in quella zona di traffici che sarà ritrovata vivissima nella sua memoria come sfondo allucinante nella novella di Andreuccio.

     

    L’esperienza mercantile offriva al Boccaccio la possibilità di spaziare al di là del comune, al di là della regione, al di là dell’Italia stessa per l’Europa e per il Mediterraneo. Se naturalmente la Toscana, e Firenze (e Siena e Pisa) sono sempre al centro della geografia ideale del Decameron, come lo erano in quella del commercio e delle finanze, anche il volto delle singole regioni si definisce con singolare precisione. A questo nuovo, sconfinato ampliamento degli orizzonti geografici, corrisponde un allargamento delle prospettive umane altrettanto ricco e prodigioso. Nella vivacissima serie di affreschi in cui il Boccaccio volle esemplificare il tema ideale della sua commedia, quelle intrepide figure di mercanti hanno sempre un posto centrale, da protagonisti.

     

    [Tratto con adattamenti da: V. Branca, Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Sansoni, Firenze, 1990.
    Vittore Branca (1913-2004), professore di letteratura italiana presso l’Università di Padova, filologo e critico letterario, è ritenuto uno dei maggiori studiosi contemporanei di Boccaccio.]

     


    [1] La definizione del Decameron come umana Commedia è di Francesco De Sanctis. 

     

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