Dalla Vita nova il sonetto "Tanto gentile" (cap. XXVI)

Dopo aver raccontato la tragica visione che gli annuncia la morte di Beatrice, Dante riprende la lode in onore di lei (lo “stilo della loda”) e inserisce in uno stesso capitolo (XXVI) due sonetti – Tanto gentile e tanto onesta pare e Vede perfettamente onne salute – con lo stesso tema: la vista della donna amata produce un effetto “miracoloso”, di straordinaria dolcezza, che contribuisce alla salvezza dell’anima.


Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le precedenti parole, venne in tanta grazia de le genti, che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giungea. E quando ella fosse presso d'alcuno, tanta onestade giungea nel cuore di quello, che non ardia di levare li occhi, né di rispondere a lo suo saluto; e di questo molti, sì come esperti, mi potrebbero testimoniare a chi non lo credesse.
Ella coronata e vestita d’umilitade s’andava, nulla gloria mostrando di ciò ch’ella vedea e udia. Diceano molti, poi che passata era: “Questa non è femmina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo”. E altri diceano: “Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilemente sae adoperare!”.
Io dico ch’ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave, tanto che ridicere non lo sapeano; né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse sospirare.
Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente: onde io pensando a ciò, volendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dicere parole, ne le quali io dessi ad intendere de le sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciò che non pur coloro che la poteano sensibilemente vedere, ma li altri sappiano di lei quello che le parole ne possono fare intendere. Allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: Tanto gentile.


Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia quand'ella altrui saluta,

ch’ogne lingua deven tremando muta,

e li occhi no l’ardiscon di guardare.


Ella si va, sentendosi laudare,

benignamente d’umiltà vestuta;

e par che sia una cosa venuta

da cielo in terra a miracol mostrare.


Mostrasi sì piacente a chi la mira,

che dà per li occhi una dolcezza al core,

che 'ntender no la può chi no la prova:

 

e par che de la sua labbia si mova

un spirito soave pien d’amore,

che va dicendo a l’anima: Sospira.


Tanto gentile e tanto onesta pare è il sonetto di lode più famoso della Vita Nova e nella tradizione letteraria italiana rappresenta per questa forma poetica un esempio di perfezione e di innovazione. [Lo schema metrico del sonetto è vario: quello originario ha rime alterne nelle quartine (ABAB/ABAB) e nelle terzine due rime alterne (CDC/DCD) o tre rime ripetute (CDE/CDE). I poeti dello Stil Novo introdussero delle varianti: le quartine a rima incrociata (ABBA/ABBA) e intrecci diversi nelle terzine (CDC/CDC; CDE/EDC;CDD/DCC etc.). Tanto gentile... ha come schema metrico: ABBA/ABBA/ CDE/EDC; Vede perfettamente...: ABAB/ABAB/CDE/CDE.]

 

Secondo Gianfranco Contini [Filologo, critico letterario e storico della letteratura italiana è stato uno dei massimi esponenti della critica stilistica (Domodossola 1912-1990; Accademico della Crusca dal 1956). Le citazioni sono tratte da: G. Contini, Esercizi di interpretazione sopra un sonetto di Dante, in Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino, Einaudi, 1970.] Tanto gentile «... passa per il tipo di composizione linguisticamente limpido, che non richiede spiegazioni... si può dire invece che non ci sia parola, almeno delle essenziali, che non abbia mantenuto nella lingua moderna il valore dell’originale». Alcuni esempi segnalati dal critico.


Gentile: per gli stilnovisti e per Dante, significa ‘nobile di animo’ e indica un insieme di virtù morali e di comportamenti pregevoli come la modestia, la dignità, il decoro.


onesta: è una parola derivata dal latino che ha lo stesso significato di “gentile”, riferito però all’aspetto esteriore, ai gesti, al portamento.


pare: è un verbo che non significa ‘sembra’ e neppure soltanto ‘appare’, ma ‘appare, si manifesta con tutta la sua evidenza’. È una parola-chiave, per questo ritorna nei due periodi che compongono il sonetto (seconda quartina e seconda terzina); nella prima terzina al suo posto compare mostrasi, una parola con lo stesso significato, che ritorna nell’ultima parola della seconda quartina). Pare, nel suo significato di ‘si manifesta con evidenza’, racchiude il concetto che sta alla base di questa poesia: Beatrice è la manifestazione visibile e concreta di un miracolo.


donna: ha il significato originario di ‘signora del cuore’.


cosa: non indica, come per noi, qualcosa che sta al di sotto dell’umano, ma descrive un essere indeterminato e indefinibile, capace di produrre sensazioni straordinarie, in questo caso il ‘miracol’.


labbia non significa ‘labbra’ e neppure ‘volto’, ma piuttosto ‘fisionomia’ (l’espressione del volto).


spirito: è un termine della filosofia che personifica «un’attività vitale», un’emozione.


Contini termina dicendo che in questo sonetto Dante non vuole «rappresentare uno spettacolo», ma «enunciare, quasi teoreticamente, un’incarnazione di cose celesti e descriverne l’effetto necessario sullo spettatore».

 

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