Boccaccio spiega e difende la sua poetica

    Letteratura e teatro

    Nel Decameron Boccaccio si rivolge in prima persona ai lettori per tre volte: nel Proemio, seguendo le regole della retorica, per spiegare quale sia il contenuto della sua opera, a chi sia diretta e quale scopo abbia; nell’Introduzione alla IV giornata, per difendersi dalle accuse di leggerezza rivolte alle novelle e alla sua persona; nelle Conclusioni per respingere ancora una volta le critiche di immoralità.

     

    Boccaccio inizia il Proemio con una sentenza: Umana cosa è aver compassione degli afflitti. Afferma di scrivere, infatti, per gratitudine nei confronti di una persona amica che con piacevoli ragionamenti e laudevoli consolazioni gli ha dato rifrigerio quando soffriva per un amore altissimo e nobile  ma non corrisposto. Ora, cessata la pena, vuol ricambiare il bene ricevuto dando sostentamento o conforto alle vaghe donne, che soffrono per amore molto più degli uomini perché dentro a’ delicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme ascose.

     

    Solo alle donne che amano, quindi, è dedicata la sua opera, per le altre sono sufficienti l’ago, ‘l fuso e l’arcolaio. A queste dilicate donne Boccaccio intende raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani che si è formata al tempo della passata epidemia di peste (pistelenzioso tempo) e anche cantare alcune canzonette al loro diletto.

     

    Nell’Introduzione alla IV giornata, Boccaccio si rivolge direttamente alle carissime e dolcissime donne. Io pensavo (estimava io) - afferma Boccaccio - che lo ‘mpetuoso vento e ardente della ‘nvidia colpisse solo persone di grande successo o opere di grande importanza (l’alte torri o le cime più elevate degli alberi[1]) e proprio per sfuggire all’invidia, non solo ho scritto le presenti novellette in fiorentin volgare e in prosa, ma le sto facendo circolare senza titolo e in forma non ancora definitiva (in istilo umilissimo e dimesso). Nonostante questo non ho potuto evitare da’morsi della ‘nvidia esser lacerato.

    Persone critiche nei miei confronti (i miei riprensori) affermano che voi mi piacete troppo, che alla mia età dovrei trovare ispirazione non in voi ma nello studio o nella poesia di stile più elevato (starmi con le Muse in Parnaso) e guadagnarmi il pane occupandomi di argomenti più seri invece di inseguire sciocchezze (dietro a queste frasche andarmi pascendo di vento). Prima di rispondere, voglio raccontarvi non una novella intera, perché non voglio mescolare la mia storia con quelle di così laudevole compagnia, ma solo parte d’una.

     

    Boccaccio narra le vicende di Filippo Balducci e di suo figlio che, tenuto forzatamente isolato e lontano dalle donne, appena le vede, sebbene non sappia che cosa siano, rimane subito colpito dalla loro bellezza e desidera solo averne una per sé. Poi riprende la sua difesa rispondendo a tutte le accuse.

     

    Dicono dunque alquanti de’ miei riprensori  che io fo male, o giovani donne, troppo ingegnandomi a piacervi, e che voi troppo piacete a me. Le quali cose io apertissimamente confesso, cioè che voi mi piacete e che io m’ingegno di piacere a voi e chiedo loro perché si meravigliano, se la vostra grazia, bellezza e comportamento nobile sono riusciti a incantare perfino il giovane figlio di Filippo Balducci, nudrito, allevato, accresciuto sopra un monte salvatico e solitario, infra li termini d’una piccola cella, seza altra compagnia che del padre.

     Chi mi rimprovera di amare le donne alla mia età, dimostra di non saper che il porro ha il capo bianco ma la coda verde: del resto anche a Guido Cavalcanti, a Dante Alighieri già vecchi e a Cino da Pistoia vecchissimo onor si tennero, e fu lor caro il piacer loro.

    Quanto al fatto che io debba preferire la compagnia delle Muse alla vostra, continua Boccaccio, affermo che è buon consiglio, ma non è sempre possibile vivere in una dimensione di somma poesia (tuttavia né noi possiamo dimorar con le muse né esso con noi) e quando gli uomini si allontanano dalle Muse per vivere nel quotidiano, sono proprio le donne a costituire il legame fra questi due mondi perché le Muse son donne e anche se le donne non valgono quello che le Muse vagliono, pure esse hanno nel primo aspetto simiglianza di quelle e se non altro per questo motivo mi dovrebber piacere. Forse proprio per questa somiglianza le Muse mi sono state accanto (sono elle venute parecchie volte a starsi meco) e mi hanno aiutato a scrivere queste novelle quantunque sieno umilissime: perciò, scrivendo la mia opera, che parla alle donne e delle donne, io non mi allontano né dal monte Parnaso né dalle Muse.

     

    In modo simmetrico al Proemio e con la stessa invocazione usata nell’Introduzione alla IV giornata (Nobilissime giovani), Boccaccio conclude la sua opera ribattendo a chi potrebbe accusarlo di avere nello scriver queste novelle troppa licenza usata; forse (per avventura) sarà proprio qualche donna bigotta (spigolistra) a sporgere i rimproveri, quelle che si preoccupano di sembrare buone più che di esserlo veramente. La qual cosa io nego – afferma Boccaccio - perché nessun argomento può risultare disonesto se si esprime con onesti vocaboli, come io ho sicuramente fatto; e se in alcune novelle c’è qualche piccola licenza (alcuna cosa) sono state le caratteristiche (qualità) di quella storia a renderle necessarie. Non si può imputarmi – continua Boccaccio – di usare parole come foro e caviglia e mortaio e pestelo e salsiccia e mortadello, perché uomini e donne li usano comunemente. Inoltre, le novelle non vengono raccontate in ambienti ecclesiastici - anche se fra le storie che riguardano la Chiesa se ne trovano di più scandalose – né nelle scuole di filosofia, ma ne’ giardini, in luogo di sollazzo, tra persone giovani benché mature, che non si lasciano influenzare facilmente, e in tempi eccezionali, come quelli della pestilenza, in cui pur di salvarsi era lecito fare qualsiasi cosa (andar con le brache in capo per iscampo di sé).

    Tutto può essere usato a scopi buoni o cattivi: il fuoco è utile, ma può bruciare le città, le armi difendono dai nemici ma uccidono anche gli innocenti. Nessuna mente corrotta può ascoltare in modo puro (sanamente) qualsiasi parola. Perciò chi vorrà trarre cattivi insegnamenti dalle mie novelle, elle nol vieteranno a alcuno, chi invece utilità e frutto ne vorrà, elle nol negheranno. Chi ha da dir paternostri o da fare il castagnaccio, lasci stare le novelle: esse non correranno dietro a nessuno per farsi leggere anche se le bigotte (pinzochere) di tanto in tanto (otta per vicenda) qualche peccatuccio lo commettono!



    [1] Queste parole rimandano ai versi della Divina Commedia, quando Cacciaguida esorta Dante a compiere la sua missione di poeta (Paradiso, XVII, vv. 133-134)

     

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