9. Il dialetto rappresentato

    Dialetti e altri idiomi d'Italia

    La letteratura, il cinema, il teatro, le canzoni, da qualche tempo anche la pubblicità, ci mettono di fronte a rappresentazioni del dialetto, cioè a usi riflessi, frutto di un ragionamento su caratteristiche e funzioni del dialetto dal quale dipende il tipo di riproposizione che di volta in volta se ne dà. Queste rappresentazioni, di fatto, astraggono il dialetto dalla sua abituale sfera di competenza, che è il parlato quotidiano informale, e sono importanti perché ci fanno capire il valore sociale che assume nel quadro delle sue vicende come lingua d’uso in rapporto all’italiano.

     

    Una volta che l’italiano di stampo fiorentino venne codificato come codice di riferimento unitario per la scrittura letteraria, tutte le altre lingue della Penisola, oltre a specializzarsi come lingue parlate della comunicazione ordinaria, cominciarono a essere oggetto di rappresentazione come lingue delle classi subordinate: contadini, servi, figli del popolo in genere saranno le figure che, a partire dal periodo umanistico-rinascimentale, letterati e drammaturghi faranno esprimere in “dialetto”. Al tempo stesso, i connotati del dialetto riprodotto erano quelli di una lingua che, con la sua espressività, ben si sposava con il “colore” del popolo.

     

    Questo connotato “espressivo” del dialetto rimanda alla condizione, che gli è stata propria fino al recentissimo passato, di lingua di primo apprendimento. Il processo di trasmissione della lingua materna, infatti, non prevede soltanto l’acquisizione di uno strumento comunicativo: per il contesto di intimità in cui avviene, la lingua trasmessa si carica di un profondo senso di affettività e di intimità, e la lingua di primo apprendimento diventa, immediatamente, lingua del coinvolgimento emotivo, e in questa forma si sedimenta nella personalità del parlante. La componente di “calore” che ognuno di noi individua nell’uso del dialetto dipende proprio dal fatto che il dialetto è stato per secoli la lingua della prima socializzazione, consolidandosi poi in questa veste per il suo radicamento nella dimensione affettiva della famiglia.

     

    Per questa condizione di lingua subordinata e insieme carica di emotività la rappresentazione dei dialetti ne isola ora il carattere di lingua delle classi subalterne (anche se nella storia dell’Italia non è stato solo il “popolo”, ma la società intera, a usarle per le esigenze della quotidianità), ora quello di codice intrinsecamente espressivo. Ancora una volta, le caratteristiche – anche come lingua rappresentata – del dialetto si chiariscono bene in rapporto a quelle di una lingua comune, l’italiano, che nasce e si sviluppa invece come lingua “non popolare”, e che viene appresa a scuola, in assenza di ogni rapporto di affettività.