Giorgio Morandi, nato a Bologna nel 1890, è stato uno dei maggiori artisti italiani del Novecento e uno dei pochi che, nel corso del secolo, abbia dialogato alla pari con la linea più alta della cultura europea. Studia all’Accademia di belle arti di Bologna (1907-1913), dove insegna poi a lungo come professore di incisione (1930-56).
La sua vita di scorre sobria e riservata, vive sempre nella stessa casa di Bologna e solo raramente si allontana per qualche viaggio a Venezia, Firenze o Roma nell’occasione di mostre o durante le vacanze estive. La sua vicenda appare infatti concentrarsi in un percorso tutto interno alla pittura, alla vita delle forme artistiche.
Fin dai suoi esordi, Morandi manifesta una predilezione per i generi più bassi, il paesaggio e la natura morta (rarissimi sono i ritratti e gli studi di figura). Grazie alla mediazione di Ardengo Soffici, ha scoperto precocemente la pittura impressionista e post-impressionista (Renoir, Monet, Seurat a Rousseau), ma è segnato profondamente dalla lezione di Cézanne.
Tra il 1913 e il 1914 si accosta al futurismo per un gusto antiaccademico e modernista. È solo indirettamente attratto dalla rivoluzione pittorica di Umberto Boccioni e Carlo Carrà . Arruolato nel 1915, viene subito congedato per malattia, sicché nel periodo della guerra approfondisce il contatto con l’ambiente culturale bolognese (De Pisis, Bacchelli, Raimondi, Cecchi) e rimedita la esperienza delle avanguardie: i dipinti di questi anni (1915-1918) evidenziano un lungo lavoro di astrazione compiuto attraverso la sintesi formale degli oggetti ridotti a sagome ritagliate contro lo sfondo (per esempio, Natura morta, 1916, New York, Museum of Modern Art).
Tra 1918 e 1919 Morandi dà una personale interpretazione della pittura Metafisica di De Chirico e Carrà , riscoprendo nello stesso tempo la grande pittura del primo Rinascimento toscano (Natura morta, 1918, San Pietroburgo, Ermitage). Sarà la prima di una serie di sottili rivisitazioni storiche. È tra i fondatori della rivista e del movimento “Valori Plastici”, che ha un ruolo centrale nell’Europa del dopoguerra, propugnando il "ritorno all'ordine" e una forte critica delle avanguardie.
La pittura di Morandi raggiunge nei decenni seguenti un grande successo di pubblico e di critica che però non turba il procedere serrato e coerente della sua ricerca artistica. La sua pittura ha ridotto all’essenziale la rappresentazione e si è imposta dei limiti strettissimi: nature morte di bottiglie, tazze, vasi, scatole e ribalte; pochissimi paesaggi senza figure e qualche raro ritratto. Ma dentro questo mondo limitatissimo la nota poetica, espressa nel calibratissimo accordo di toni cromatici, sempre si rinnova e non trova mai fine.
Le sue immagini impongono allo sguardo un'intimità profonda e un senso di assoluta unità tra le cose e lo spazio raggiunte attraverso modulazioni di toni e una sapiente costruzione formale (Paesaggio a Guizzano, 1927, Modena, collezione G. Fabbi; Natura morta, 1936, Bologna, Museo Morandi; Paesaggio, 1944, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). Dagli accordi di grigi e di bruni Morandi giunge alla concertazione di colori più vivi e infine, in quadri di fiori, a intonazioni di bianchi, senza mai allontanarsi dal principio di coerenza del suo stile (Paesaggio, 1963, Bologna, Museo Morandi).
Accanto all’attività di pittore ha un ruolo fondamentale la pratica di incisore che risulta molto spesso un momento preparatorio o di sperimentazione di soluzioni poi raggiunte nella pittura.
Morandi muore nel 1964 a Bologna. Grazie alla donazione delle sorelle, la sua città natale nel 1993 gli dedica il Museo Morandi che ora fa parte del Museo d’arte moderna di Bologna (MAMbo).
Bibliografia: Morandi. Catalogo generale, a cura di Lamberto Vitali, Milano, Electa, 1977, 2 voll. (ed. ampliata, Milano 1983); Morandi (1890-1964). Catalogo della mostra (Bologna, 2009), a cura di Renato Miracco e Maria Cristina Bandera, Milano, Skira, 2009; Flavio Fergonzi, «Morandi, Giorgio», in Dizionario biografico degli italiani, vol. LXXVI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2012, pp. 448-458.