“A ribadire il parallelismo fra vita urbana e moda che si era consolidato fra Medioevo e Rinascimento, luoghi quali Genova, Lucca, Venezia o Bologna hanno legato i loro nomi ai processi produttivi relativi alla seta. Con le nuove rotte commerciali, la seta, ma anche damaschi, perle ed altre merci esotiche si resero infatti disponibili, contribuendo alla nascita della moda. Come vi è una storia della moda, così esiste una geografia della moda che rimanda ad alcuni centri per la produzione e ad altri per l’importazione e per lo smercio ora della seta, ora della lana. Alcuni di questi luoghi hanno mantenuto nel tempo un forte legame con l’uno o con l’altro aspetto della moda, altri invece lo hanno perduto mentre ne sono sorti di nuovi”. (Muzzarelli)
Quello che ha fatto della moda uno dei settori trainanti del made in Italy è stata la sinergia di una stratificazione di competenze, da quelle più umili di “lavorazioni domestiche”, come merletti, ricami, maglierie e decorazioni, sparse anche nei piccoli centri; altre con maestranze sartoriali più “tecniche”, diciamo da atelier, che convogliava sarti, modellisti e coupiers, di cui erano ricche le città , da Palermo a Torino; poi divennero sempre più importanti le qualità imprenditoriali e organizzative che tendevano a convogliarsi verso le grandi aree cittadine del nord come Torino (già considerata capitale della moda a fine ‘800) e Milano, che con la richiesta sempre maggiore di mano d’opera accoglievano maestranze anche venute dal meno sviluppato sud, città che pur godendo di una solida storia artistica, hanno maggiormente sviluppato una tendenza industriale ed hanno potuto godere il loro massimo splendore con il dominio del prêt a porter.
Sintomatica è la storia di Milano, l’ultima (in ordine temporale) capitale Italiana della moda internazionalmente accreditata, pur vantando premiate imprese dall’800 (qui fu concepito il vestito nazionale nel 1848). Negli anni ‘40 vi nacque il Centro italiano della moda, con l’idea di creare un legame fra industria tessile e moda attraverso una serie di iniziative che avvennero a Como, a Legnano e a Venezia, dove nel 1948 fu invitato anche “il dittatore” Dior, fresco del clamore del suo New Look. A Milano operavano importanti sartorie quali Marucelli, Noberasco, Vanna e Jole Veneziani (“milanese” nata a Taranto, grande stilista e pellicciaia internazionalmente nota per i suoi capi in astrakan, cincillà , lontra e visone) e, intorno agli anni ’50-’60 importanti protagoniste della moda furono Biki (Elvira Leonardi, nipote di Giacomo Puccini) e Gigliola Curiel. Anche per la comunicazione, Milano è stata il centro della stampa specializzata e delle riviste di moda.
Ma nel filo rosso che collegava l’America con la moda italiana e con il mito del “bel paese” d’arte, vacanze e mandolini, Firenze e Roma godettero di un plus d’immagine, grazie anche a personaggi colti quanto intraprendenti, come lo fu Giovan Battista Giorgini che riuscì a far convergere nella città di Caterina de’ Medici il fior fiore dei sarti dell’epoca, salvo poi capitolare al primato di Roma, città d’arte non meno invidiabile, capitale d’Italia e del cinema, dove erano ubicati buona parte di quegli atelier che decretarono il successo delle sfilate fiorentine di palazzo Pitti. Così Fabiani, Simonetta, Sorelle Fontana, Giovanelli Sciarra, Schuberth, Mingolini-Guggenheim, Ferdinandi, Garnet e Fausto Sarli, formarono il SIAM (Sindacato italiano di alta moda), emancipandosi dal loro “creatore” per organizzare sfilate in proprio: si iniziò di fatto la “guerra fredda” fra le due città .
“Se gli stilisti italiani unissero le loro forze probabilmente potrebbero battere i francesi e diventare i dominatori della moda mondiale” tuonava nel 1960 il Newsweek, “Invece le controversie interne hanno fatto scorrere sangue […] Firenze, città della moda italiana dal 1951 […] ha cercato di sgonfiare i disegni di grandezza di Roma: la posizione fiorentina ha perso gradualmente importanza da quando sempre più numerosi designer romani si sono stancati del viaggio di 190 miglia…” e già due anni prima Elisa Vittoria Massai scriveva su “Novità ”: “La rivalità fra Roma e Firenze minaccia […] di essere superata dalla entrata in scena di Milano. È troppo presto per fare delle previsioni".
Risposero per lei un decennio più tardi Walter Albini, Ken Scott, Missoni e Krizia, per voce di quest’ultima:
“Non abbiamo niente contro Firenze ma è la formula che non funziona più per noi tutti. Io come molti altri desidero mostrare la mia collezione per intero e con calma nel mio atelier senza sfilate affrettate che non dicono nulla ai buyer…” (cit. in Gnoli, 2012, p.228).