Nell’antica Grecia la parola dialectos (di per sé, ‘conversazione, discorso’) indicava le principali varietà geografiche parlate nella penisola (eolico, dorico, attico, ionico), ciascuna delle quali era anche il codice di riferimento di specifici generi letterari. Mediata dal latino dialectus, la voce cominciò a diffondersi nel clima umanistico-rinascimentale nel quale si produsse la cosiddetta questione della lingua: alla definizione di funzioni e caratteristiche della lingua comune corrisponderà infatti la parallela definizione, anche terminologica, dei sistemi che non saranno rappresentati dal modello di riferimento. Infatti, una volta stabilito che la lingua comune avrebbe dovuto svolgere funzioni di lingua letteraria (e in questa prospettiva risulterà vincente la proposta di Bembo di procedere alla canonizzazione del fiorentino “aureo” rappresentato dalle opere di Petrarca e Boccaccio), le lingue non coinvolte nella definizione del canone si troveranno a specializzare le proprie funzioni come lingue parlate che nelle diverse aree linguistiche saranno unicamente destinate alla conversazione ordinaria. Proprio l’esclusione di queste lingue da ciò che, dal Cinquecento in poi, definirà il connotato elevato ed elitario della dimensione linguistica “comune”, contribuirà a collocarle in una posizione oggettivamente subordinata nel quadro del repertorio linguistico “italiano” in via di formazione.
Con la celebrazione di un volgare illustre in grado di assolvere alle funzioni elevate già svolte dal latino, la questione della lingua avrebbe fornito alla classe borghese in ascesa – desiderosa di affermarsi anche culturalmente e tuttavia ignara del latino – un prestigioso corrispettivo linguistico di riferimento. In questo quadro il termine dialetto sarà progressivamente adottato, e proposto dalla classe intellettuale egemone, per indicare quelle lingue, d’ora in poi relegate all’ uso esclusivamente orale, che rappresentavano l’unica modalità espressiva delle classi inferiori: proprio la combinazione tra caratteristiche delle funzioni (codice dell’oralità di livello informale) e dell’universo sociale di riferimento (unico codice posseduto dagli strati sociali meno elevati) contribuirà a definire quel carattere di lingua parlata popolare che, fino ai giorni nostri, definiranno in Italia i connotati del “dialetto”.
Sul piano concettuale, le vicende connesse alla questione della lingua cinquecentesca porteranno a evidenziare il carattere “eteronomo” del dialetto rispetto alla “lingua”: un sistema, dunque, può dirsi “dialetto” solo se sono contestualmente definite caratteristiche e funzioni della lingua comune di riferimento, che è invece concettualmente “autonoma” rispetto ai diversi dialetti.