Giotto di Bondone nasce a Vespignano del Mugello presso Firenze intorno al 1265-1267 e muore a Firenze nel 1337. È dunque un coetaneo di Dante. La sua vicenda biografica risulta per molta parte ancora oscura e sono fiorite varie leggende popolari sulla sua giovinezza, ma è ormai quasi certo che dovette svolgere il suo apprendistato nella bottega fiorentina di Cimabue, il più grande artista del tempo.
In qualità di pittore e architetto, Giotto, come riconobbero già i suoi contemporanei, è il protagonista di un rinnovamento profondo nella storia della civiltà figurativa occidentale, poiché la sua pittura rivoluziona l’antica tradizione bizantina, astratta, lineare e decorativa, attraverso un linguaggio che recupera il confronto diretto con la realtà , in modo analogo al ruolo svolto da Dante Alighieri in campo letterario. Giotto riporta in pittura figure di grande forza plastica e una umanità più terrena che sottopone al dominio di una imperiosa tensione compositiva. Sono novità che vanno collegate all’affermazione dell’ordine francescano così come allo spirito di razionalità ed efficienza delle ricchissime famiglie borghesi fiorentine, allora all’avanguardia in Europa. Giotto è però molto spesso attivo fuori di Firenze, sempre rispondendo a commissioni prestigiosissime: dalla basilica superiore di Assisi alla basilica di San Pietro a Roma, dalla Padova dei più ricchi banchieri dell’Italia settentrionale alla reggia angioina di Napoli e ai Visconti, signori di Milano. Come Dante, la sua attività assume perciò un ruolo sovra-regionale e diventa un modello fondamentale per la formazione di un linguaggio pittorico di portata nazionale.
In mancanza di notizie sicure, molto si è discusso intorno alle opere giovanili, precedenti gli affreschi per la cappella degli Scrovegni a Padova, il suo capolavoro assoluto e certissimo, realizzato tra 1303 e 1305 circa. Siamo autorizzati però a riconoscere negli affreschi della basilica superiore di Assisi il punto di partenza dell’attività artistica di Giotto. Assisi è il centro più importante della cristianità del tempo e la basilica il cantiere dove si sperimentano le più moderne soluzioni figurative. Qui si riconoscono, fra i suoi primissimi lavori, le scene con due Storie di Isacco (c. 1290) che rivelano un linguaggio del tutto nuovo rispetto ai precedenti, in grado di dialogare con i modelli dell’arte classica, capace di espressività drammatica e di grandi novità nella costruzione dello spazio e nella stessa tecnica pittorica.
Verso la metà degli anni Novanta Giotto esegue il Crocifisso in S. Maria Novella a Firenze, che risente dell’esempio di Nicola Pisano e Arnolfo di Cambio. Intorno al 1296, assieme a collaboratori, Giotto dà inizio nella chiesa superiore della basilica di Assisi al ciclo delle storie di S. Francesco in cui il santo è rappresentato come battagliero campione della chiesa. Il ciclo si distingue per l’inquadratura architettonica delle scene, che conferisce realismo agli spazi entro cui si muovono le figure, delineate con precisione quasi geometrica e con grande partecipazione emotiva.
Il pittore in seguito si reca a Roma, alla corte di papa Bonifacio VIII, dove esegue il mosaico, ora solo frammentario, per l’atrio della basilica di S. Pietro raffigurante la Navicella degli Apostoli (1300). La sua fama si espande e il pittore con la sua bottega risale la penisola: è a Rimini per la decorazione, oggi perduta, del Tempio Malatestiano a Rimini, e poi a Padova per affrescare la cappella voluta da Enrico Scrovegni (c. 1303-1305) con Storie di Cristo e della Vergine e il Giudizio universale. L’impianto architettonico è più semplice rispetto al ciclo di Assisi e il solenne ritmo narrativo lascia spazio anche a particolari di crudo realismo.
Giotto ritorna più volte ad Assisi, e, grazie ad una fiorente bottega, riesce nello stesso giro d’anni anche ad assolvere le richieste delle grandi famiglie di banchieri fiorentini decorando le cappelle Peruzzi e Bardi nella chiesa di S. Croce a Firenze (c. 1320-1328). Cicli piuttosto rovinati e frammentari che si caratterizzano per elaborate architetture, per delicatezza di accordi cromatici e pacata freschezza della narrazione.
Negli ultimi anni è a Napoli, con allievi e collaboratori, per la decorazione della reggia di Castelnuovo, di cui sopravvive solo qualche frammento (c. 1328-1332). A Firenze è nominato capomastro dell’Opera del duomo e sotto la sua guida si dà inizio alla costruzione del campanile (1333). Negli ultimi anni di vita sappiamo che lavorò anche a Milano, nel palazzo di Azzone Visconti, e, di nuovo a Firenze, intervenne forse nella cappella del palazzo del Podestà (ora Palazzo del Bargello), dove tradizionalmente gli si attribuisce uno dei più antichi ritratti di Dante.
Bibliografia: L. Bellosi, Giotto, Firenze, Becocci, 1981; L. Bellosi, La pecora di Giotto, Torino, Einaudi, 1985; F. Flores d’Arcais, Giotto, Milano, Motta, 1995; M. Boskovits, «Giotto di Bondone», in Dizionario biografico degli italiani, LV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 2000, pp. 401-423.