Per quanto possa sembrare scontato, non può mancare in nessuna rassegna quella che è probabilmente la canzone italiana più famosa nel mondo (malgrado, paradossalmente, sia non in italiano, ma in napoletano: a riprova del fatto che la “culla” della tradizione musicale italiana sia la città partenopea).
I versi del giornalista del «Roma» Giovanni Capurro, dedicati a Donna Nina Arcoleo, vengono consegnati al compositore Eduardo Di Capua, al momento della sua partenza per una tournée a Odessa con il padre violinista Giacomo. Sarebbe contemplando il Mar Nero dalle finestre dell’albergo, in un clima rigido, che Di Capua avrebbe pensato al sole della sua terra. Prima l’intimità melodica del ricordo (Che bella cosa è ’na jurnata ’e sole/n’aria serena doppo ’na tempesta), poi l’esplosione del ritornello famoso (Ma n’atu sole/ chiù bello, oi né/ ’o sole mio/ sta ’nfronte a te).
A Napoli, in un concorso organizzato dall’editore musicale Bideri, che ne detiene tuttora i diritti, ’O sole mio arriverà seconda e vincerà un premio di duecento lire. Con un testo da cui nasce la musica (e non viceversa, come nella canzonetta moderna), la canzone comincerà da allora a percorrere tutto il mondo (tra le centinaia di interpretazioni, si ricorderà soltanto quella di Elvis Presley, It’s now or never), svolgendo spesso il ruolo di vero e proprio inno nazionale.
Lorenzo Coveri
[Da: Italia linguistica: gli ultimi 150 anni, nuovi soggetti, nuove voci, un nuovo immaginario, a cura di Elisabetta Benucci e Raffaella Setti, Firenze, Le Lettere, 2011, pp. 78-79].