"De vulgari eloquentia"

Letteratura e teatro
La prima edizione del "De vulgari eloquentia". Fonte: viaLibri.net

In questo libro, incompiuto, composto tra il 1303 e il 1304, Dante affronta il tema della lingua volgare e della necessità, da lui avvertita, di elaborare il “parlar materno” di tutti, in modo da renderlo capace di esprimere anche contenuti elevati. Il libro era tuttavia scritto proprio in latino, perché fosse preso in considerazione dai dotti e dagli studiosi del suo tempo i quali ritenevano, soprattutto in Italia, che solo la lingua della cultura classica fosse in grado di avere dignità letteraria.


Dante si propone dunque di insegnare le regole dell’uso letterario del volgare costruendo un vero e proprio trattato di retorica.


Una caratteristica di Dante è la costante riflessione che segue ogni sua esperienza poetica: la Vita Nova, il Convivio, l’Epistola a Cangrande contengono commenti, digressioni e giudizi critici sulle proprie scelte stilistiche e su quelle di altri rimatori. Solo nel De vulgari, però, queste riflessioni vengono articolate e organizzate. La natura, le origini e lo sviluppo del volgare vengono analizzati su basi filosofiche e in modo straordinariamente ampio, come mai era accaduto in precedenza. Dante è consapevole di questo e nel primo libro sottolinea la novità della sua opera; inoltre, mentre organizza e porta a unità contributi che provengono dalla tradizione classica e medievale, sviluppa idee originali, come quella di creare una mappa dei dialetti italiani, e ha intuizioni sorprendenti, come l’origine comune dei dialetti romanzi e l’instabilità delle lingue.


Dante sceglie di esprimersi in latino (la lingua grammaticale) anche per dare al volgare una maggior dignità: il latino era infatti usato soltanto per scrivere argomenti della massima importanza (giustizia, religione...) o per i trattati internazionali. Dante si lancia in un’appassionata difesa del volgare, dicendo che merita di diventare una lingua illustre in grado di competere con la lingua di Virgilio. Dante, però, sostiene che, per diventare una lingua in grado di trattare argomenti importanti e non più solo la lingua parlata dal popolo, il volgare deve avere alcune importanti caratteristiche: essere illustre, cioè capace di dare fama e nobiltà (“lustro”) a chi lo usa nella scrittura; cardinale, cioè punto di riferimento per tutti gli altri dialetti, che devono ruotare intorno a lui come una porta intorno al cardine; aulico, cioè dotto, usato dalle persone di grande cultura e degno di diventare la lingua delle corti (curiale).


Dante mette in evidenza la grandezza del siciliano illustre, che ritiene la prima lingua letteraria con dignità nazionale; poi passa in rassegna tutti gli altri volgari e trova in ciascuno qualità diverse che, sommate, dovrebbero costituire la lingua italiana, una lingua sovraregionale e unitaria, che non coincide con un volgare specifico, neppure con il fiorentino.

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