"Il cinque maggio": la figura di Napoleone

    Letteratura e teatro

    Prima di scrivere Il cinque maggio Manzoni non aveva espresso opinioni su Napoleone, anche se di certo, per le sue idee liberali, non approvava che l'imperatore avesse esercitato su gran parte dell'Europa un potere quasi dittatoriale. La morte di questo personaggio complesso, capace di suscitare sentimenti contrapposti d’invidia e di pietà, di odio e di amore (d'inestinguibil odio/ e d'indomato amor) colpisce profondamente il poeta, che partecipa allo sbigottimento del mondo intero di fronte alla notizia (Ei fu.../ così percossa, attonita/la terra al nunzio sta) e, mentre riflette sulle vicende di Napoleone, s'interroga sul significato della vita umana. La gloria, la ricchezza, il potere, a cui tutti aspirano, sono fragili e incerte (Fu vera gloria?); solo la fede immortale e vittoriosa (ai trionfi avvezza) può dare significato e senso all'esistenza. Questo vale per l'imperatore dei francesi, che visse ogni genere di esperienza (tutto ei provò) e conobbe più volte la grandezza e la rovina (due volte nella polvere,/due volte sull'altar) come per qualsiasi altro uomo: non a caso, forse, Manzoni nomina Napoleone attraverso pronomi (ei, lui, in lui, a lui) o espressioni (uom fatale, quel securo, cor indocile, spirto anelo) e mai direttamente. La vicenda di Napoleone è uno straordinario esempio della caducità delle cose umane e della misericordia divina: il Dio potente che può abbattere (atterra) e innalzare (suscita), mettere alla prova e consolare (che affanna e che consola) è l'unica presenza vicina a questo uom fatale che sembrava avere in pugno i destini del mondo, ed è l'unico a sedersi (posò), come un padre o un amico, accanto al solitario letto di morte dell’imperatore (deserta coltrice).

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