1. L'età di Dante e il Trecento

Letteratura e teatro

In Europa, alla fine del Duecento, la crisi del Papato e dell’Impero è ormai evidente e, spesso proprio in antagonismo con le due potenze che fino ad allora avevano governato il mondo, si vanno formando nuovi stati nazionali. La civiltà del Trecento è una civiltà urbana che, soprattutto in Italia, raggiunge un primato culturale e artistico destinato a durare per secoli.

 

La produzione letteraria si organizza intorno a più centri. A nord si sviluppa soprattutto una letteratura in versi a carattere didattico, destinata a un pubblico non colto, che riprende temi della Bibbia e offre insegnamenti di morale pratica. L’autore più rappresentativo è il milanese Bonvesin da la Riva (seconda metà del Duecento - 1315 ca) che affianca alla produzione latina (De magnalibus urbis Mediolani) una ventina di poemetti in volgare milanese (cataloghi di comportamenti, narrazioni di exempla e contrasti).

 

Al centro della penisola, in particolare in Umbria, i primi documenti letterari in volgare italiano sono prodotti in ambito religioso: il più importante, anche per valore poetico, è il Cantico di frate Sole (o Laudes creaturarum) di san Francesco d’Assisi, una preghiera in volgare umbro del 1224, composta in versi ritmati adatti per essere utilizzati anche durante la predicazione. Più tardi si svilupperà una nuova forma poetica, la lauda, legata alle pratiche della preghiera e del canto all’interno delle confraternite religiose; questo nuovo genere troverà in Iacopone da Todi (1230 ca-1306) una delle sue più intense espressioni.

 

In Sicilia, intorno agli anni Trenta del XIII secolo, alla corte dell’imperatore Federico II, si sviluppa una vera e propria scuola poetica che prende a modello la lirica cortese provenzale. I poeti, che sono spesso anche funzionari del governo imperiale, sperimentano, con fine lavoro metrico e retorico, varie forme poetiche (sonetti, canzoni, canzonette, ballate, frottole) sui temi dell’amore, della bellezza e della cortesia. Oltre allo stesso imperatore e al figlio re Enzo, i più illustri esponenti furono Pier della Vigna, consigliere dello stesso Federico II, Guido delle Colonne, giudice messinese, e il notaio Giacomo da Lentini, detto da Dante appunto «il Notaro» (Purgatorio XXIV, v. 56), che è considerato il caposcuola. Alla morte di Federico II (1250) e con il crollo della potenza sveva (battaglia di Benevento, 1266), si chiude questa esperienza poetica, che influenzerà tuttavia la successiva produzione poetica in volgare.

1.1 La poesia in Toscana: Dante e lo Stilnovo

Nella seconda metà del secolo è la Toscana, dove fiorisce una vivace e variegata civiltà borghese intorno alla nuova realtà dei Comuni, che diventa il centro culturale e politico della Penisola. Per queste ragioni storico-politiche la produzione poetica non è più localizzata in un’unica sede, la corte, ma si sviluppa diffusamente in varie città: Lucca, Pistoia, Pisa, Arezzo, Siena, e soprattutto Firenze. Il successo economico della città determina anche la diffusione del suo volgare, usato dalla gente comune, dai mercanti e dai banchieri, e uno sviluppo straordinario della letteratura, sia in prosa sia in poesia: Dante ne rappresenterà la manifestazione più alta.
 
La prima stagione poetica toscana è fortemente influenzata dai modi e dagli stilemi siciliani, ma si apre a nuovi temi morali (virtù, valore, comportamenti umani) e soprattutto politici e civili; Guittone d’Arezzo (1230/40-1294 ca.) fu caposcuola di un folto numero di poeti (detti anche siculo-toscani, tra i quali si ricordano Bonagiunta Orbicciani da Lucca, i fiorentini Chiaro Davanzati e Monte Andrea e il pistoiese Meo Abbracciavacca).
 

Negli anni ’80 un nuovo, decisivo cambiamento nel modo di fare poesia si esprime nell’esperienza dello Stilnovo. La parola Stilnovo deriva dalla Commedia: «di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!» - ricorderà il rimatore lucchese Bonagiunta Orbicciani (Purgatorio XXIV, v. 57); Dante ne definisce nella stessa sede anche la corrispondente poetica: «I’ mi son un che quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando» (vv. 52-54). Il poeta si considera dunque traduttore fedele e consapevole del dettato d’Amore, attraverso una modalità espressiva estremamente elaborata che si esprime anche attraverso la ricerca della musicalità delle parole. L’intento di far coincidere forma e contenuto si coniuga con la ricerca di uno stile scelto ed elevato, adatto a cantare l’amore per la donna-angelo, figura spirituale di elevata virtù, tramite ideale per il raggiungimento della perfezione.

 

Ispiratore dello Stilnovo può essere considerato il bolognese Guido Guinizzelli (1230/40-1276), sensibile alle indicazioni della Scuola siciliana: la sua canzone Al cor gentile rempaira sempre amore è considerata il “manifesto” della nuova poesia, in cui la nobiltà non si identifica con l’appartenenza a una classe sociale ma con le più elevate qualità dell’anima; si sviluppa così un’aristocrazia dei sentimenti, la nuova élite dei «fedeli d’amore» (vedi Dante, Vita nova, III, 9).

Lo Stilnovo avrà la sua elaborazione più completa a Firenze per opera di Guido Cavalcanti (1258 ca.-1300) e dell’Alighieri. La poesia di Cavalcanti, maggiore di alcuni anni di Dante, descrive gli effetti sconvolgenti dell’amore e si distingue per la soavità e leggerezza, alle quali è sottesa una rigorosa ricerca linguistica e stilistica, come nella celebre ballata Per ch’i’ non spero di tornar giammai. Raffinata e complessa esposizione teorica è affidata alla canzone Donna me prega.

Gli altri poeti stilnovisti, quasi tutti fiorentini, appartengono spesso a famiglie agiate e in vista e partecipano attivamente alla vita politica: si ricordano tra loro Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi, e soprattutto Cino da Pistoia.

1.2 Poesia comico-realistica, volgarizzamenti e novità in prosa

Accanto alla poesia amorosa, ma con caratteri opposti per stile e contenuti, si sviluppa, in particolare a Siena, un filone di poesia comico-realistica, legata da un lato agli aspetti concreti della vita quotidiana, dall’altra alla satira e al gioco parodico. I temi ricorrenti sono l’esaltazione del denaro e del gioco, il rifiuto della povertà, le invettive contro la fortuna avversa, l’amore sensuale, la rappresentazione caricaturale (degli amici come dei nemici, delle donne giovani e delle vecchie).

 

Si tratta comunque di una poesia colta, che obbedisce a un canone condiviso, risponde a precise convenzioni e si rifà a consolidate tradizioni letterarie. Nei suoi sonetti Cecco Angiolieri, ad esempio, ripropone parodiandoli i temi e il linguaggio della lirica più illustre, mentre Folgòre da San Gimignano, nei sonetti della “corona dei mesi”, rinnova la tradizione provenzale del plazer (cioè “elenco delle cose piacevoli”) raffigurando un quadro della vita cittadina in termini festosi, laici e mondani.

 

Per quanto riguarda la prosa, la produzione volgare è strettamente legata alle esigenze e ai bisogni della nuova classe borghese in ascesa a Firenze e comprende sia opere originali sia volgarizzamenti (spesso liberi rifacimenti di opere già di successo in lingua latina e francese: romanzi cavallereschi, compilazioni erudite, storie universali, raccolte di exempla). Il contatto e il confronto con civiltà letterariamente più mature permettono di strutturare una scrittura con solide strutture grammaticali e sintattiche e dotata di grande forza comunicativa.

 

Anche le opere originali si rivolgono a vari generi: la trattatistica morale (Bono Giamboni, Il libro de’ vizi e delle virtudi e il Fiore di virtù), le scritture religiose (Jacopo Passavanti, Domenico Cavalca), la novella (il Novellino, anonimo della fine del sec. XIII, e la raccolta del Trecentonovelle di Franco Sacchetti, sec. XIV), il romanzo (il cosiddetto Tristano riccardiano e la Tavola ritonda), la cronaca (Dino Compagni, Giovanni Villani l’“Anonimo romano”), i trattati scientifici (Ristoro d’Arezzo, La composizione del mondo colle sue cascioni), l’epistolografia (le lettere di Guittone d’Arezzo).

 

Di notevole rilievo, anche per gli aspetti linguistici, le scritture di carattere pratico sviluppatesi soprattutto in ambito mercantile: libri di conti, registri, contratti, ai quali si affianca anche una vivace letteratura memorialistica (libri di ricordanze personali e familiari). Questa produzione offre uno spaccato della vita, delle abitudini e del pensiero di questa nuova classe sociale e, se non può definirsi propriamente opera letteraria, è tuttavia un importante documento di storia della cultura e della lingua.